Miti e Megaliti

2018-03-05T20:47:15+00:00 01/03/2018|extra|0 Comments

UN’INTRODUZIONE AL SITO MEGALITICO DI ARGIMUSCO

Descrizione del luogo

L’Argimusco (o Argimosco) è una vasta contrada del Comune di Montalbano Elicona sita a 1200 mt. Dal luogo si gode uno splendido panorama che spazia tra le Isole Eolie e l’Etna. L’area è caratterizzata da numerose grandi strutture rocciose rassomiglianti a varie forme umane e animali. I megaliti dell’Argimusco rappresentano uno dei rari esempi di sistemi megalitici in Italia, un sito archeo-astronomico, noto a pochi, dove dominano silenziose pietre millenarie.

Il sito si trova esattamente sulla diagonale nord che parte dalla vecchia Etna (edificio vulcanico del Trifoglietto, oggi sprofondato), passa dall’ Argimusco, dalla Rocca di Tindari e arriva all’Isola di Panarea.

In tre nostri precedenti studi, Paul Devins“Il mistero dell’Argimusco” 2010 ISBN 978-1-4466-4343-3, Paul Devins “La scoperta dell’Argimusco” 2011 ISBN 978-1-4466-0438-0, Paul Devins “Considerazioni propedeutiche alla vendicazione di Arnau de Vilanova” 2012 ISBN 9781471071973, abbiamo per primi rivelato che le costellazioni coincidono nell’ordine di dieci su dieci (Cigno, Freccia, Aquila, Serpente, Ofiuco, Vergine, Leone, Corvo, Idra e Cratere) con dei grandi megaliti siti nell’area e sono poste sull’orizzonte, dopo il tramonto nei mesi estivi, giugno in particolare, nello stesso ordine e sequenza, da est ad ovest.

I megaliti sono in relazione con le costellazioni celesti, non in allineamento, come negli altri siti megalitici del mondo 1, ma quale SPECCHIO delle stesse costellazioni2. In particolare tutte le costellazioni poste sulla linea dell’orizzonte si specchiano “toccando” quasi sul terreno le proprie controfigure megalitiche sull’Argimosco. “Quod est inferius est sicut quod est superius, et quod est superius est sicut quod est inferius”, il famoso incipit della Tabula Smaragdina di Ermete Trismegisto sembra che qui trovi totale applicazione.

Utilizzando il programma “Stellarium” o altri programmi simili chiunque può al PC verificare la precisa coincidenza tra i megaliti e le costellazioni dopo il tramonto nei mesi di maggio, giugno e luglio tra il 1.300 d.C. e il 1.700 d.C. (e ancora oggi).

Altra scoperta che facemmo era che alcuni megaliti, posti all’ingresso del sito, da altri considerati quali simboli sessuali legati ad antichi riti per la fertilità risalenti all’epoca dei ciclopi, sono, invece, la perfetta riproduzione di simboli (pellicano, civetta, alambicco, etc.) del cristianesimo medievale in uso presso i religiosi francescani, molti di loro all’epoca dediti all’alchimia. Nell’ultimo libro abbiamo, infine, anche ipotizzato che due strutture, un arco scavato nella roccia a forma di sestante e una vasca, site su una rupe da cui si domina il sito, fossero state utilizzate per finalità di medicina astrale e per la somministrazione di salassi in particolare.

Abbiamo scritto che documenti del 1282, del 1308 e del 1352 attestano una frequentazione del sito da parte dei re Aragonesi ed, in particolare, da parte di Federico III d’Aragona che mandava dall’Argimusco i propri documenti diplomatici. Il medico di Federico era Arnau de Vilanova, ovvero l’alchimista più noto dell’Europa medievale, che sarebbe stato sepolto proprio nel castello di Montalbano.

Mappe geografiche del 1600 e del 1700 indicano il sito con la stessa rilevanza di un Comune di media importanza. Nobili, alchimisti, e, secondo le leggende locali, streghe avrebbero frequentato i luoghi. Abbiamo ipotizzato che tanto era perché la funzione del sito sarebbe stata legata a misteriose (ma ben documentate) pratiche di medicina astrale per la rigenerazione del corpo fisico.

Dopo le intuizioni qui citate, oggi intendiamo trovare conferme scientifiche o meno rispetto a quelle tesi. In questa opera sottoporremo, pertanto, le tesi sopraccitate ad un rigoroso confronto con le fonti storiografiche al fine di rigettare o asseverare la nostre tesi che hanno fanno risalire al Medioevo la realizzazione dell’opera. In caso contrario, laicamente saremo pronti a condividere la tesi maggioritaria che fa discendere l’origine del sito a non meglio precisati tempi preistorici e a leggendari Ciclopi o Giganti la realizzazione.

Il tentativo è arduo. Mentre la tesi preistorica non può essere per definizione supportata da prove storiografiche ma solo da evidenze molto labili quali supposti allineamenti astronomici o da evidenze per forza di cose non precise quali il test del carbonio 14 (causa la frequentazione diacronica dei luoghi in esame), la tesi medievale dovrà essere inevitabilmente sottoposta ed una scientifica ed impietosa analisi delle fonti storiografiche che confermino o meno la coerenza degli ipotizzati modelli “culturali” medievali usati sul sito fino ad arrivare ad una inevitabile ricerca delle prove sulla eventuale committenza e sulla dotazione finanziaria necessaria per la realizzazione dell’opera. Non sarà facile.

Siamo però in premessa. Anticipato l’arduo lavoro che ci attende, torniamo ad osservare il cielo.

Ancora oggi, le dieci costellazioni si specchiano sui megaliti del sito dopo il tramonto, nelle tiepide sere tra il mese di maggio e quello di luglio.

La tecnologia ci consente, paradossalmente, di riprendere un millenario rapporto che proprio la stessa tecnologia moderna aveva interrotto: quello con il cielo.

Se saliamo sull’altipiano e ci mettiamo rivolti con la faccia a sud al centro del pianoro, tenendo il megalite dell’Aquila sulla nostra sinistra e il megalite della cosiddetta Orante sulla nostra destra, si potrà cogliere il senso dell’immenso “talismano stellare” realizzato sull’Argimusco. Da est ad ovest possiamo vedere il susseguirsi dei megaliti/costellazioni nella stessa sequenza, “in cielo come in terra”.

Cominciamo ora una breve visita ai luoghi… Dopo partiremo per un viaggio nel tempo alla ricerca di chi concepì e realizzò il sito megalitico. Alla fine cercheremo di scoprire anche per quali fini…

 

 

MITI E MEGALITI

Ad est ammiriamo la grande Aquila. Il megalite tra tutti è il più facilmente riconoscibile. Esso è formato dalla sovrapposizione di blocchi dalla facciata pentagonale. Il megalite rappresenta un rapace, con le ali semi-spiegate e il capo rivolto verso sud. Sullo sfondo rispetto all’Aquila, si staglia il bellissimo cono del Monte di Nettuno (Rocca di Salvatesta)3.

Sempre ad est scopriamo appena sotto la grande Aquila un bellissimo megalite raffigurante inequivocabilmente un Cigno. Quasi una statua per la precisione dell’immagine. E’ un caso che il cigno posto sull’Argimusco sia proprio accanto all’Aquila?

No, poiché è così in cielo. In un resoconto di Igino4 le costellazioni dell’aquila e del cigno sono, infatti, unite. Zeus s’innamorò della ninfa Nemesi ma, date le resistenze di lei, si trasformò in un cigno e fece fingere ad Afrodite, trasformata in aquila, di cacciarlo. Nemesi offrì riparo al cigno in fuga, e si ritrovò fra le braccia di Zeus. A perenne ricordo di questo trucco ben riuscito, Zeus collocò le immagini del cigno e dell’aquila nel cielo.

Vicino l’Aquila troviamo ancora un piccolo megalite a forma di minuscolo rettangolo basso. Sembra una specie di Dardo, in latino “Sagitta”. Su di esso sono incise delle tacche. La vicinanza con la vicina Aquila sembrerebbe indicare una qualche funzione rispetto all’Aquila. Ed è così, infatti. Cesare Germanico ci dice che l’aquila era stata posta nel cielo a guardia della freccia di Eros, appunto, la Sagitta (Dardo) ritratta nel megalite, che fece innamorare Zeus del giovane troiano Ganimede. Altrettanto è in cielo: le costellazioni del Cigno e del Dardo sono accanto a quella dell’Aquila. Nelle raffigurazioni zodiacali, l’Aquila, ad ali spiegate, sembra precipitarsi nel cielo in direzione dell’Acquario, costellazione raffigurante Ganimede, e più precisamente verso la coppa che il giovane sembra tendere ad essa.

Secondo Ovidio fu Zeus stesso ad assumere le sembianze dell’uccello. In un’immagine estratta dalla III Tavola del Mutus Liber alchemico, l’aquila è accanto a Zeus. La strana faccia che si vede nel lato dell’Aquila che dà ad ovest, e di cui si distinguono le cavità degli occhi e la bocca, è, pertanto, Zeus dissimulato sotto le penne dell’Aquila in cui si era trasformato per volare da Ganimede 5.

. Giove è colto nell’atto della trasformazione in Aquila (si veda in proposito l’Iliade di Omero (X, 265-267), le Metamorfosi di Ovidio (X, 148-161) e Eneide di Virgilio, V, 249-255, etc.). Nessun’altra cultura precedente a quella greco romana associa l’Aquila ad un essere umano. L’Aquila è già connessa a Giove nel mito di Prometeo6 e nel mito della lotta tra Saturno e i suoi figli.

Continuando al centro del pianoro, di fronte a noi, vediamo una testa di quello che sembra un “Serpente” megalitico il cui muso punta a nord ed esattamente verso l’isola di Panarea. Del serpente ammiriamo il rilievo sulla cavità degli occhi e il muso, ritratti quasi fotograficamente. L’aquila è, com’è noto, il più grande cacciatore di serpenti e nel cielo le costellazioni del Serpente e dell’Aquila sono poste uno accanto all’altro. In cielo, il serpente viene, però, tenuto nelle mani da un uomo di profilo chiamato “Ofiuco”, “Serpentario” o “Asclepio”7.

Se guardiamo il pianoro dalla collina alta a sud, laddove passa appunto la schiena del serpente, e rivolgiamo lo sguardo a nord, ammiriamo la cosiddetta “Grande Rupe”. Essa è un’immenso megalite che ha, nella parete rivolta ad est, il profilo di un volto di un vecchio, quasi un Moai dell’isola di Pasqua. Il megalite è quello che resta di un’antica cava di conglomerato: in essa sono ancora visibili i lavori per l’estrazione delle grandi pietre alzate e lavorate sul sito (l’aquila e il serpente). Nella parete rivolta ad ovest si nota il profilo sprezzante di un giovane che guarda, con fronte rivolta verso l’alto, il sole del tramonto. La doppia raffigurazione fa pensare alla divinità ctonia del Giano bifronte Italico, poi adottato nella religione romana, che con il mese a lui dedicato faceva iniziare l’anno.

Bene, così come in cielo anche sull’Argimusco, il Serpentario, anche qui ritratto di profilo, è vicino al serpente. La connessione mitologica con il serpente ce la dice ancora Igino.

Asclepio una volta ne uccise uno. Il serpente, però, miracolosamente resuscitò, grazie a un’erba che un altro serpente gli appoggiò sopra. Da allora Asclepio usò quell’erba per resuscitare i morti. Il serpente, dunque, nel contesto simbolico dell’area rappresenta la rinascita perché ogni anno muta pelle: ancora oggi, tra l’altro, il serpente intrecciato attorno alla verga (il caduceo di Ermete) rappresenta la scienza medica8.

Cosa viene ora in cielo? Il programma Stellarium ci mostra, accanto ad Ofiuco, la Vergine con il mano la spiga e l’omonima stella Spiga, appunto. Così anche sull’Argimusco: accanto ad Ofiuco vi sta il megalite bellissimo dell’Orante, la “Vergine”.

Essa è una misteriosa figura androgina alta ventisei metri con le mani giunte in atteggiamento di preghiera. Si nota il gomito, il peplo, il ginocchio, il copricapo da suora sul capo, e financo, il piedistallo, alla base. Particolare fondamentale, in alto sul megalite della Vergine si trova una vasca rettangolare, che è, a nostro avviso, l’elemento clou di tutto il grande teatro di pietra. Tra poco ne parleremo.

La costellazione della Vergine – secondo i greci – rappresentava Astrea, o Dike, la Giustizia, figlia di Zeus e di Temi, che diffondeva fra gli uomini la bontà e la giustizia al tempo dell’Età dell’oro. Ma, finita la mitica età ed essendosi la malvagità impadronita del mondo, Dike prese a odiare il genere umano e fuggì in cielo. “Iam redit et Virgo”, scriveva Virgilio per annunciare il ritorno della costellazione della Vergine.

La Vergine rappresenta il centro e l’essenza principale dello “Specchio del Cielo” messo in scena sull’’Argimusco, poiché tutte le altre figure svolgono un ruolo ancillare rispetto ad essa. La vasca sopra di essa, lo vedremo, ne è la conferma. Certamente, questa Vergine non può essere accostata a Demetra poichè senza porcellino da latte, a Cibele poiché senza leoncino, a Iside poiché senza Horus, etc..

Domandiamoci ora dopo la Vergine chi viene in cielo? La risposta è immediata la costellazione del Corvo, animale sacro alla Vergine. E sull’Argimusco? Ovvio, il megalite del Corvo.

Ritorniamo al centro del pianoro. Là, al centro della stessa Grande Rupe, vediamo una enorme raffigurazione di un “Corvo” con il petto gonfio e il becco rivolto verso il cielo. Il corvo è sostenuto da grandi megaliti inseriti accanto che gli impediscono di cadere. Fa impressione vedere un enorme cuneo messo dietro la schiena del corvo per reggerlo (quali argani sono stati utilizzati?).

Alla luce delle stelle, di notte, l’ombra del corvo, assume un contorno perfetto ed inquietante, al contempo.

Quale il rapporto tra il Corvo e Asclepio, posti nella stessa Grande Rupe?.

La leggenda, riportata da Igino, narra che Coronis tradì Apollo con un mortale, Ischys, mentre era incinta di un figlio di Apollo, ovvero Asclepio. Un corvo, uccello che fino a quel momento era stato candido, portò al dio la brutta notizia ma, invece della ricompensa che si aspettava, fu maledetto dal dio che lo fece diventare nero. In un impeto di gelosia Apollo colpì Coronis con una freccia. Piuttosto che vedere il suo bambino, Asclepio, morire con lei, il dio strappò il feto dal grembo della madre, mentre le fiamme della pira funeraria l’avvolgevano, e lo affidò a Chirone, il centauro saggio (rappresentato nel cielo dalla costellazione del Centauro).

Se, rimanendo fermi, ora andiamo più avanti con lo sguardo nel vasto pianoro, ad ovest, dietro i principali complessi megalitici notiamo enigmatiche formazioni di pietra.

Una formazione sembra lo scheletro della schiena di un enorme rettile, mentre accanto si nota un enorme megalite a forma di contenitore. Se osserviamo il primo gruppo di pietre da vicino, notiamo come una processione di pietre enormi. Avvicinatici vediamo che alcune pietre sono state aggiunte appositamente alle altre al fine di formare gli aculei della lunga coda di un serpente marino. Si notano, infatti, grandi massi di pietra aggiunti negli interstizi di una grande catena rocciosa naturale. La formazione, rappresenta un enorme “Idra”, il mostruoso serpente mitologico9.

Il grande contenitore di pietra, invece, non è altro che un “Cratere”, ovvero un contenitore utilizzato in epoca greca per mescolare vino e acqua. Se ci avviciniamo al megalite del Cratere notiamo, innanzitutto, un gigantesco mestolo megalitico in equilibrio instabile. Che un tale megalite possa essere sorto naturalmente è da escludere: è di tutta evidenza che il “Mestolo” è stato posto in quell’equilibrio strano da qualcuno.

Il Cratere è stato appositamente tagliato in obliquo dall’alto al fine di creare un effetto da recipiente se visto da lontano. Per levare ogni dubbio gli autori hanno aggiunto il grande mestolo medievale tagliandolo di netto dalla stessa struttura del cratere.

Quale la connessione mitologica tra Corvo, Idra e Cratere? E’ presto detto.

Una leggenda antica associa l’Idra Femmina alla costellazione del Corvo e del Cratere (Tazza) che si trova alle sue spalle. Secondo questa storia, il corvo fu mandato da Apollo a prendere acqua con la tazza, ma quello si attardò a mangiare fichi. Quando finalmente ritornò da Apollo diede la colpa del suo ritardo all’idra che, a sentire lui, aveva bloccato la sorgente. Ma Apollo sapeva che il corvo stava mentendo, e lo punì piazzandolo in cielo in una posizione in cui l’idra gli impedisce per l’eternità di bere dalla tazza. E sull’Argimusco? Come in cielo così sulla terra, dopo il tramonto tra maggio e luglio, il Corvo, l’Idra e il Cratere vengono, in alto come in basso, dopo la Vergine.

Se a questo punto saliamo sul megalite della Vergine troviamo due sorprese. Sul lato ovest, accanto alla Vergine in cielo c’è il Leone. E sull’Argimusco? Pure… Arrivando dal pianoro centrale troviamo, infatti, accanto alla Vergine la costellazione del “Leone”. Come in cielo il Leone è in alto rispetto alle altre costellazioni, così qui il Leone è visibile in alto rispetto al pianoro. A causa, poi, forse, delle preesistenze rocciose utilizzate è stata posta sul lato opposto rispetto alla Vergine celeste. Ormai rovinata dalle intemperie, la figura di leone è acquattata con le zampe in avanti. Un grosso rilievo sul lato est con strisce diviene riconoscibile come  una sorta di criniera sotto una grande testa. A quel punto diventano meglio visibili la faccia e il muso, erosi dal tempo.

Eratostene e Igino sostengono che il leone fu posto in cielo perché è il re degli animali. In termini mitologici, si ritiene sia il leone nemeo, sconfitto da Ercole nella prima delle sue dodici fatiche.Ercole era stato sorpreso dalla bestia mentre viaggiava nei boschi. Il leone gli ruppe l’armatura con i fendenti degli artigli, ed arrivò a strappargli un dito. L’eroe era riuscito a bloccare una delle entrate della tana della bestia e ad infilarsi nell’altra. Nel terribile duello corpo a corpo, il leone strappò un dito a Ercole, ma alla fine l’eroe afferrò la belva per la testa e la folta criniera, e alla fine il leone si accasciò a terra sconfitto. Ercole se lo caricò in spalla in segno di trionfo e lo portò a Micene, dove terrorizzò Euristeo, che gli ordinò di riportarlo indietro. Ercole così fece. Alla morte, il leone nemeo fu posto da Zeus tra i segni dello zodiaco, dove formò la costellazione del leone.

Salendo ancora sopra il megalite, su una specie di piccola piattaforma, troviamo  un “Sestante” megalitico. Trattasi di un manufatto, indubbiamente tracciato da mano umana. Accanto una vasca rettangolare scavata nella roccia e più giù un piano in pendio. Sul sestante, la vasca e il pendio torneremo tra breve. Non ce ne dimenticheremo. Saranno fondamentali per svelare il mistero?

SIMBOLI ALCHEMICI SULL’ARGIMUSCO

Se adesso torniamo verso l’entrata del sito, vediamo una specie di cava. Là notiamo una grande pietra rotonda alzata con una grande fessura verticale nel mezzo: esso rappresenta il simbolo del sale/salnitro utilizzato dagli alchimisti per lavorare la mitica “pietra filosofale”. In appendice mostriamo la foto del megalite confrontata con il sottostante simbolo alchemico. La somiglianza e la vicinanza ad altri simboli alchemici confermano l’attribuzione simbolica al salnitro10.

All’ingresso vi è la “firma” dell’ autore del sito, perchè, lo anticipiamo, perfetta riproduzione di simboli alchemici e del cristianesimo medievale.

Di fronte al salnitro notiamo il menhir più alto. Da esso si vede perfettamente l’Aquila del pianoro e il simbolo del sale, di fronte. Se osservato dall’ingresso del sito, il menhir è una perfetta e inquietante riproduzione del simbolo della Civetta alchemica11.

Simbolo della dea Minerva ovvero della Sapienza, la Civetta presso gli alchimisti Rosacroce rappresentava la capacità di vedere nell’occulto12. Il megalite è stato realizzato modellando un preesistente monolite congregato di piccoli ciotoli e sabbia. Il risultato è eccellente per la resistenza agli agenti atmosferici del materiale utilizzato e per la plasticità delle forme ottenute, lavorate con maestria. Il simbolo della “virilità maschile”, così come definito da un’autore locale, rappresenta, in realtà una civetta, lo ripetiamo, simbolo della Dea Minerva e della capacità di vedere nell’occulto.

Accanto notiamo un megalite menhir più piccolo. Guardando da est o dalla strada sottostante notiamo che il menhir ritrae una sorta di animale incurvato, con un grande collo che entra nel corpo.  Il megalite definito simbolo della “femminilità” rappresenta, in realtà, il Pellicano 13. Sono visibili il grande collo che penetra nel petto del volatile e le ali ricurve di questo. Come il Cristo dà il proprio sangue per la salvezza dei suoi figli, così il Pellicano14 si becca il petto per dare il proprio sangue ai suoi cuccioli. Esso è un simbolo cristiano sia cataro che cattolico: esso è riportato nella sintesi dell’Opera illustrata alla f.92 del Rosarium philosophorum del medico astrologo alchimista medievale Arnau de Vilanova ed è una metafora del sacrificio del Cristo che dà la propria vita per la salvezza dell’umanità così come il pellicano, nel mito medievale, dà il sangue ai propri figli beccandosi il petto. Insomma, quella che è stata intesa da alcuni studiosi locali come una vagina posta tra due cosce femminili e usata per riti della fertilità preistorici non è altro che il collo ricurvo del pennuto inserito tra le sue ali ripiegate, per come visibile in tante chiese medievali europee.

Il megalite è stato realizzato modellando un preesistente grande monolite sito sul posto, un congregato di piccoli ciotoli e sabbia. Il risultato è anche qui eccellente per la resistenza agli agenti atmosferici del materiale utilizzato e la plasticità delle forme ottenute. Accanto, come nell’iconografia Rosacroce 15, sta un grande megalite panciuto. A sinistra, due grandi travi di pietra: un blocco è incompleto e viene aggiunto di un cuneo al fine di creare, con l’altro, un triangolo, ad imitazione, seppur approssimativa, di un manico tondo.

Trattasi di una riproduzione dell’alambicco degli alchimisti, chiamato “pellicano”, ovvero di un alambicco alchemico ove gli alchimisti distillavano i liquidi per la produzione della Pietra Filosofale.

E’ visibile il tubo a becco sommariamente ricavato con le sopraccitate due travi di pietra accostate per formare un triangolo (anche con l’uso di una cilindro di pietra su una trave) e il pallone ottenuto simbolicamente da un preesistente grande monolite “panciuto”.

“Pellicano” era il nome dato ad un tipo di alambicco che presentava un piede di collegamento alla testa della cucurbita con il capitello che rientrava con un tubo a becco nella parte inferiore dell’apparecchio (pallone).

La pietra è la tipica arenaria del luogo molto diversa dal congregato dei dirimpettai civetta e pellicano/volatile. Attorno al “pallone” si notano alberi di agrifoglio.

Certamente i simboli descritti, il Salnitro, il Pellicano, l’Alambicco e la Civetta, sono totalmente propri della koinè culturale di impronta ispano-islamica, diffusasi nell’Europa cristiana medievale in particolare presso i medici-alchimisti. Essi sono tipici simboli alchemici. Sul tema da anni, lo vedremo tra poco, è in corso una forte polemica che mira ad espungere i testi alchemici dalla vasta pubblicistica, del sopraccitato medico Arnau de Vilanova, causa una supposta non paternità degli stessi testi. Ci interessa questa polemica? Sì, e tra poco sarà chiaro perchè.

Noi non vogliamo entrare nel vivo della polemica fine a se stessa, osserveremo che tali polemiche fatte a tavolino hanno ignorato uno dei luoghi ove Arnau de Vilanova visse gli ultimi anni della sua vita e ove scrisse alcune delle opere, da alcuni definite “aberrate”. In tali luoghi sono, forse, le prove fisiche? Lo vedremo tra poco.

In secondo luogo, anticipiamo che, non lontano dagli stessi luoghi, a Palermo nel 1872, è stato scoperto un codice appartenuto alla Famiglia Speciale di Palermo, codice che contiene vari testi alchemici 16. Tra questi testi ve n’è uno specificamente attribuito al medico, Arnau de Vilanova, il Defloratio Philosophorum, testo fondamentale per comprendere il rapporto tra alchimia, astrologia e Argimusco nel lavoro di Arnau. Sul tema del Defloratio torneremo, però, tra breve.

Qui finisce il nostro viaggio introduttivo. Dalle stelle siamo passati ad uno dei temi più antichi della storia umana, quello dell’immortalità. Il Lapis Philosophorum ingerito in soluzione potabile, grattato o in qualcunque altro modo assunto, avrebbe garantito, secondo generazioni di alchimisti, la vita eterna, e comunque, non inferiore a mille anni.

La Pietra Filosofale, forse, veniva prodotta anche da Arnau de Vilanova per come ci dice una costante tradizione alchemica. Lì avrebbe curato con il “Lapis philosophorum” la gotta del Re di Sicilia, Federico III d’Aragona, per come ci dice anche Paracelso che asseriva che la pietra filosofale serviva per curare la gotta 17.

Sull’Argimusco con la pietra filosofale Arnau ha cercato anche l’eterna giovinezza? Questo è quanto la tradizione nota ci racconta dello stesso Arnau, così come di Christian Rosenkreutz (fondatore dell’Ordine dei Rosacroce), di Artefio 18,di Cagliostro, etc…

Ci fermiamo qui. Rischieremo, altrimenti, di andare fuori tema rispetto ai confini di questo studio e sopratutto di divagare nel leggendario.

Noi crediamo, invece, che le fonti storiografiche già oggi esistenti sull’alchimia e sulla medicina astrologica e quelle su Arnau, in particolare, già oggi possano dare invece un concreto sostegno alle attività di ricerca tese alla comprensione di quella scienza alchemica oggi respinta dalla scienza moderna causa l’incomprensibilità e l’apparente illogicità dei testi. E lo dimostreremo nel corso di questo saggio.

Intanto, auspichiamo che, oltre a ricerche storiografiche più approfondite, si possa parallelamente sviluppare la conoscenza dell’opera e della vita di uno dei più affascinanti personaggi della storia umana, Arnau de Vilanova. Alla fine di questa sintetica presentazione dei luoghi non ci resta che evidenziare come oggi l’Argimusco costituisca un “unicum”, un capolavoro testimonianza dell’antica medicina astrale, conoscenza che, a parte poche statuette sabee salvatesi dal “deluge” mongolo, non ha lasciato altri esempi di quella cultura “astrolatrica”, e di tali enormi dimensioni, in altre parti del mondo. Montalbano Elicona e l’Argimusco hanno, pertanto, tutte le carte in regola, secondo noi, per candidarsi a diventare una delle più importanti mete del turismo culturale al mondo.

MEGALITI E COSTELLAZIONI

Nel prosieguo di questo libro, verrà ipotizzato come il sito megalitico in esame possa essere probabilmente stato creato per le cure mediche tese alla salute del Re, metafora della “salute del popolo”. Obiettivo sarebbe stato quello di applicare le prescrizioni del diffusissimo testo medico di origine araba “Secretum Secretorum”19.

 

L’astronomo arabo Thebit Ibn Qurra insegnava che statue che riproducevano le iconografie medievali delle costellazioni tolomaiche potevano trasmettere l’influsso delle stelle anche per finalità mediche.

E’ possibile che il medico sopraccitato, Arnau de Vilanova, possa avere diretto la realizzazione di statue di pietra, sfruttando la preesistente conformazione geologica del sito vicino alla Regia Aedes di Montalbano? Non abbiamo, in atto, alcun elemento per dirlo.

Thebit parlava, però, di “statuette”, mentre Arnau avrebbe creato, in questa ipotesi, enormi statue di pietra e le avrebbe fatte erigere nello stesso ordine delle costellazioni visibili nel cielo estivo. C’è differenza, o no?!?

Il fine di Arnau sarebbe stato quello di potere ottenere l’influsso delle costellazioni che trasmettevano i loro attributi alle statue sottostanti?

Arnau potrebbe avere, insomma, applicato sull’Argimusco le tecniche di medicina astrale di Thebit Ibn Qurra (contenute nel De Imaginibus di quest’ultimo), quelle di Al-Kindi sui raggi (contenute nel testo di questi De Radiis Stellicis) e sopratutto, quelle descritte da Arnau in alcuni suoi testi quali il De iudiciis Astronomia, Speculum Medicine, Antidotarium, De Sigillis, De Parte Operativa, De Regimen Podagre, De Regimen Sanitatis, etc.? E’ una tesi di lavoro che affronteremo nel corso dello studio.

In quei testi, lo vedremo tra poco, descriveva con minuzia di dettagli come attrarre i raggi delle costellazioni dentro sigilli di pietra al fine di curare le parti del corpo umano connesse con una data costellazione.

Come detto nei nostri precedenti libri, le costellazioni ritratte sul sito coincidono nell’ordine di dieci su dieci con quelle presenti sull’orizzonte in estate: dando le spalle a nord, da est ad ovest, Cigno, Freccia, Aquila, Serpente, Ofiuco (Serpentario), Vergine, Leone, Corvo, Idra e Cratere sono poste nello stesso ordine e sequenza dei loro corrispettivi megaliti, con l’eccezione di due costellazioni a sud (Libbra e Scorpione) coperte alla vista dal maestoso profilo dell’Etna.

Dopo avere esaminato il collegamento mitologico dei megaliti insistenti sul sito ora approfondiremo brevemente il “rapporto culturale” dei megaliti con le costellazioni sovrastanti. Anticipiamo che l’iconografia medievale araba, probabilmente usata come modello, potrebbe dare utili indicazioni al fine della soluzione dell’enigma dell’Argimusco.

La Costellazione del Cigno è visibile sull’orizzonte est del cielo, prima del tramonto e anche, seppur più in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel mese di giugno del 1300 ed oggi. Il Cigno è stato ottenuto modellando, come una statua, una preesistente roccia conglomerato di sabbia e ciotoli, forse trasportato dalla cava della grande rupe, quella del Serpentario per intenderci. Sono perfettamente leggibili la testa, il becco, gli occhi e le ali ripiegate (a differenza che nel cielo). Il becco fruga per terra, mentre le ali sono ripiegate plasticamente a formare la tipica schiena ricurva del cigno. Se le ali fossero state distese (come in cielo) ben difficilmente esso avrebbero resistito l’usura del tempo.

Il megalite è il primo da est ad ovest tra quelli da noi inviduati speculari alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Il Cigno (o Croce del Nord) è una delle costellazioni più facili a riconoscersi per la sua caratteristica forma a croce. La sua stella più brillante (Deneb) forma con Vega e Altair il ben noto “Triangolo estivo”. E’ immersa nelle nubi stellari della via Lattea ed è ricchissima, oltre che di stelle di grande importanza, anche di oggetti non stellari estremamente rilevanti per gli astrofili. Confina a nord con le costellazioni di Cefeo e del Dragone, ad ovest ancora con il Dragone e con la Lira, a sud con la Vulpecula, ad est con la Lucertola. E’ evidente la somiglianza tra la sagoma disegnata dalle stelle più luminose di questa costellazione ed un uccello in volo. Greci e Romani lo conobbero come l’Uccello, mentre per gli Arabi era la Chioccia.

Il modello usato per riprodurre la costellazione del Cygnus potrebbe essere stato quello del libro di Abd al-Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986), Libro delle costellazioni e delle stelle fisse (Liber locis stellarum fixarum), 964 nella versione del Pergamenthandschrift M II 141 20.

Il testo potrebbe essere stato nella biblioteca di Arnau de Vilanova? Di essa si sa con certezza che era dotata di numerosi testi in lingua araba. Al-Sufi visse trecento anni (903-986) prima di Arnau. Il suo testo era uno dei più usati negli ambienti dell’astronomia medievale. La versione qui citata è certamente successiva (1400) ma è verosimilmente una copia attendibile dell’originale del 964 d.C..

La Costellazione del Dardo (Sagitta) è visibile sull’orizzonte est del cielo, prima del tramonto e anche, seppur più in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel mese di giugno del 1300 ed oggi. La Sagitta (Dardo) è stata ricavata lavorando ed incidendo un preesistente monolite di pietra arenaria. Sono visibili le tacche incise sul dardo (come su altri megaliti) al fine di consentire la lettura delle fasi lunari dall’osservatorio (sestante di pietra arabo) oltre che per l’uso della sfera di Pitagora, quest’ultima usata per rivelazioni e previsioni sul decorso delle malattie. Vedremo tutto inj dettaglio tra poco.

Il megalite è il secondo da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. E’ un gruppetto di stelle abbastanza insignificante, ma già presente tra i quarantotto segni degli antichi cataloghi. Si trova a sud del Cigno, a metà strada fra Albireo e Altair. Non contiene stelle più brillanti della 4a magnitudine, ma ospita un importante oggetto del Catalogo Messier: M71.

A nord confina con la Vulpecula, ad ovest con Ercole, a sud con l’Aquila, ad est con il Delfino.

Anche qui il modello usato per riprodurre la costellazione della Sagitta potrebbe essere stato quello del libro Abd al-Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986), Libro delle costellazioni e delle stelle fisse (Liber locis stellarum fixarum), 964 – Ms. Garrett 2259 Yehuda 4 Ramadān 1015 AH [3 January 1607] Princeton, University Library. La versione è certamente successiva (1607) ma è verosimilmente anch’essa una copia attendibile dell’originale del 964 d.C.. Altra possibile versione usata è anche qui quella della Sagitta riprodotta nel Liber locis stellarum fixarum, nella versione del Pergamenthandschrift M II 141 sopraccitato.

La Costellazione dell’Aquila è visibile sull’orizzonte est – sud est del cielo, prima del tramonto e anche, seppur più in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel mese di giugno del 1300 ed oggi. L’Aquila è stato ottenuta aggiungendo ad un preesistente megalite grandi lastroni di pietra tagliati e lavorati al fine di ricavare l’apertura delle ali e la testa. Probabilmente tali lastroni sono stati anch’essi ricavati dalla cava della grande rupe del megalite di Asclepio.

Nella parte posteriore, rivolta ad ovest, del megalite dell’Aquila è visibile una faccia umana: come detto sopra, trattasi di Giove colto nell’atto della trasformazione in Aquila. Il megalite è il terzo da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno.

Un possibile modello dell’Aquila è, come per gli altri megaliti, quello da cui gli autori avrebbero tratto buona parte delle immagini, ovvero l’aquila riprodotta nel libro di Abd al-Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986), Liber locis stellarum fixarum, nella versione del Pergamenthandschrift M II 141 di cui sopra si è fatto cenno.

L’Aquila é una costellazione tipicamente estiva, dominata dalla luminosissima Altair (che con Deneb e Vega forma il cosiddetto “Triangolo estivo”). Nel pieno dell’estate, si trova in direzione sud nelle prime ore della notte, alta sull’orizzonte e in condizioni ideali per l’osservazione. La sua tipica forma ad aquilone è facilmente osservabile a nord del Sagittario e del Capricorno, e a sud della piccola costellazione della Freccia (Sagitta), che a sua volta è dominata verso nord dall’imponente croce del Cigno. I confini della costellazione sono: a nord con la Freccia e, limitatamente all’angolo nordovest, con Ercole; ad ovest, oltre ad Ercole, abbiamo Ofiuco, il Serpente (Coda), lo Scudo; a sud le due costellazioni zodiacali del Sagittario e del Capricorno; ad est l’Acquario. L’Aquila culmina a mezzanotte verso la fine di luglio. L’oggetto più  importante della costellazione è probabilmente Altair, una delle stelle più splendenti del cielo. Già un modesto binocolo è in grado di mostrare la grande nebulosa oscura B 143, visibile anche ad occhio nudo sullo sfondo della Via Lattea, circa 1° a nordovest di gamma Aquilae. La costellazione annovera diverse stelle doppie di un certo interesse ed alcuni altri oggetti celesti anche se nessuno di questi può dirsi particolarmente cospicuo.

La Costellazione del Serpente è visibile sull’orizzonte sud del cielo, prima del tramonto e anche, seppur più in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel mese di giugno del 1300 ed oggi. Il Serpente è stato ottenuto da un monolite tagliato e separato dalla roccia, probabilmente dalla Rupe del Serpentario. Esso è stato poggiato su una base di roccia e lavorato al fine di ricavare la forma della caput o testa (quella che si vede non è la cauda o coda del serpente). Sono visibili gli occhi e il muso sporgente. Il megalite è il quarto da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Il Serpente, che è uno degli originari quarantotto segni degli antichi, in passato era una grande costellazione che faceva un tutt’uno con Ofiuco, il Serpentario. Oggi (da alcuni secoli) viene invece divisa in due parti, divise appunto nel mezzo da Ofiuco: Serpens Cauda (la Coda del Serpente) e Serpens Caput (la Testa del Serpente). Quest’ultima é facilmente rintracciabile a sud della Corona Boreale, mentre la Coda si estende fino ai confini dell’Aquila, a nordovest dello Scudo.

In conformità all’ipotesi avanzata in questo libro il suo realizzatore avrebbe usato quale modello per il serpente delle immagini tratte da alcuni testi arabi. Un testo è stato il Libro delle stelle fisse’ (Kitāb suwar al-kawākib al-ṯābita) di ‛Abd al-Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986). Ms Arabe 5036 c. 1430-1440, nella versione della Samarkand-Paris, Bibliothèque Nationale de France. Questa versione è certamente, come detto sopra del 1400, ma è una copia verosimile dell’originale di Al-Sufi del 964 d.C.. Altra versione che potrebbe essere stata usata è quella che vede insieme Serpentario e Serpente ovvero quella del Manoscritto della Bodleian Library, Oxford, manuscript Marsh 144.

La Costellazione di Asclepio (o Serpentario) è visibile sull’orizzonte sud del cielo, prima del tramonto anche, seppur più in alto, oltre le ore 01.00 a.m. nel mese di giugno del 1300 ed oggi. Asclepio è stato ricavato da una preesistente rupe scavandola e lavorandola al fine di ricavare la forma del profilo. Sono visibili il naso, il mento e il cranio. Il megalite è il quinto da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Esso viene citato da Arnau de Vilanova nell’Antidotarium per le cure da avvelenamento da serpenti quale sigillo non zodiacale.

La costellazione di Ofiuco (il Serpentario) é un vero crocevia celeste: si trova infatti a metà strada tra polo nord e polo sud, e tra gli equinozi di primavera e d’autunno. L’eclittica attraversa le sue regioni meridionali e quindi, anche se non fa parte dei tradizionali segni zodiacali, avrebbe tutto il diritto di essere considerata la tredicesima costellazione dello zodiaco.

I suoi confini sono delimitati a nord da Ercole, ad ovest dalla Testa del Serpente, dalla Bilancia e dallo Scorpione; a sud ancora dallo Scorpione, e ad ovest dal Sagittario, dalla Coda del Serpente e dall’Aquila.

E’ una costellazione molto estesa, e ricca di oggetti straordinariamente interessanti, oltre che cinque stelle al di sopra della terza magnitudine. La stessa sua vastità, però, contribuisce a renderla non facilmente riconoscibile ad occhi non esperti. Tra gli oggetti di grande interesse di Ofiuco, oltre ad alcune stelle di notevole importanza, ricordiamo il complesso di gas e polveri che circonda r Ophiuchi e i numerosi ammassi globulari: Ofiuco é appunto una delle costellazioni più ricche di questi affascinanti oggetti, e tra i 20 racchiusi tra i suoi confini se ne contano ben 7 inclusi nel Catalogo Messier.

Nelle più antiche carte stellari era tutt’uno con la costellazione del Serpente; oggi, invece, quest’ultima é divisa in due tronconi (Caput e Cauda) da Ofiuco.

La versione del libro di Al-Sufi che potrebbe essere stata usata è quella che vede insieme Serpentario e Serpente ovvero quella del Manoscritto della Bodleian Library, Oxford, manuscript Marsh 144. Ulteriore possibilità è quella della versione del Ms Arabe 5036 c. 1430-1440, Samarkand -Paris, in posesso della Bibliothèque Nationale de France.

La Costellazione del Leone è visibile sull’orizzonte sud – sud ovest del cielo, prima del tramonto e fino alle ore 01.00 nel mese di giugno del 1300 ed oggi. Il Leone è stato ricavato da un preesistente monolite incidendolo e lavorandolo al fine di ricavare la forma di un leone sdraiato. Sono visibili, molto erosi, la criniera e le zampe distese. Il megalite è il sesto da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Esso è un megalite fondamentale per il richiamo al sigillo riproducente la costellazione del Leone che fu usato da Arnau da Vilanova per curare il Papa Bonifacio VIII. Nelle opere Speculum Medicine e del De Parte Operativa Arnau parla delle cure con il sigillo di pietra astrale riproducente il Leone. E’ una delle costellazioni più facilmente riconoscibili, una di quelle che più giustificano, nella forma, il nome che portano. Il gruppo é ricco di stelle brillanti e di nebulae facilmente accessibili all’astrofilo. Nei suoi confini si possono contare oltre 100 stelle visibili ad occhio nudo. E da una regione situata all’interno della Falce (la Testa) ha origine lo sciame delle Leonidi, il più spettacolare fenomeno celeste mai visto dall’uomo in tempi moderni.

E’ la quinta tra le costellazioni zodiacali. Confina a nord con l’Orsa Maggiore e il Leoncino, ad ovest con il Cancro e il Sestante, a sud con il Sestante stesso, il Cratere e la Vergine, ad est sempre con la Vergine e con la Chioma di Berenice.

La versione del Libro delle stelle fisse’ (Kitāb suwar al-kawākib al-ṯābita) di al-Ṣufi potrebbe essere quella della British Library, Or. MS 5323, f,45v. Le zampe del Leone per come ritratte nel manoscritto coincidono, infatti, con quelle del megalite sull’Argimusco poiché distese in avanti. La coda per ovvi motivi statici non è, però, alzata come nel disegno.

La Costellazione della Vergine è visibile sull’orizzonte sud – sud ovest del cielo, prima del tramonto e fino alle ore 01.00 nel mese di giugno del 1300 ed oggi. La Vergine è stata ricavata sul lato sud di una preesistente rupe incidendolo al fine di ricavare il profilo di una vergine/monaca orante. La figura di donna orante non ha un bambino in braccio, come nell’iconografia della dea Iside (Horus) o della Beata Vergine Maria né la figura reca un porcellino tra le mani, come la dea greca Demetra. La figura della Vergine è stata prodotta, verosimilmente, in epoca medievale poiché la figura ha una veste lunga ed è in preghiera, con le mani giunte, come una suora, di cui si distingue il copricapo. Per come vedremo in prosieguo del libro, abbiamo ipotizzato che, escluse altre ipotesi mitologiche o ipotesi di altre figure iconografiche storiche e preistoriche, tale figura potrebbe corrispondere ad un grande personaggio storico vissuto sul territorio ed oggi totalmente rimosso dalla memoria collettiva, la grande regina Eleonora d’Angiò, moglie di Federico III. Questa regina di forte fede e pratica religiosa spirituale francescana, visse certamente per lunghi anni e almeno nel periodo estivo nel vicino castello di Montalbano.

Anticipiamo quanto di seguito sostenuto dicendo che la raffigurazione della Vergine (Orante)21 è per la veste da suora e le mani giunte in preghiera assolutamente conforme alla opinione del medico di Federico III re di Sicilia, Arnau de Vilanova, sulla santità femminile. Tale visione è riscontrabile nei consigli di etica e moralità francescana dati alla Regina Eleonora d’Angiò nell’opera “Informació espiritual per al rei Frederic” dedicato al re Federico III e scritto nel 1310. Non è, dunque, da escludere che la figura della costellazione della vergine sia anche un omaggio di Arnau alla sua discepola Eleonora d’Angiò22. Quest’ultima regalò ad Arnau un tabernacolo di legno inventariato tra i beni di Arnau al n.19123e due Chiese, quelle di Spirito Santo e S.Caterina d’Alessandria, verosimilmente, per come vedremo in prosieguo, in segno di ringraziamento per un’attività svolta da Arnau a favore della Casa Reale.

Eleonora d’Angiò trascorse in convento gli ultimi anni della sua vita, dopo la morte di Federico, quale terziaria francescana24.

A differenza delle altre immagini stellari tratte dal Liber locis stellarum fixarum di Al-Sufi l’immagine della Vergine riprodotta sull’Argimusco non ha le braccia distese in basso lungo il corpo o aperte sui lati come nelle varie versioni del libro di Al-Sufi25.

La Vergine dell’Argimusco ha le mani giunte in preghiera e ha il copricapo cui poco prima si cennava. L’immagine è assolutamente simile all’unica esistente di Eleonora d’Angiò, ritratta in un mosaico nell’abside di sinistra della Cattedrale di Messina sotto la Vergine. Quest’ultima ha le mani giunte in preghiera come la Vergine sull’Argimusco. Per motivi statici le braccia della Vergine megalitica non sono distese come quelle ritratte nel mosaico. La francescana Eleonora, figura oggi pressochè sconosciuta ma di grande spessore storico ed etico, è ritratta in uno dei posti più suggestivi al mondo. Più avanti ipotizzeremo il perché.

La figura della Vergine in preghiera ha le mani giunte con le dita intrecciate all’altezza del petto. Questa è una prova, forse, tra le più importanti sulla realizzazione medievale del ciclo di statue megalitiche dell’Argimusco. Anticipiamo, dunque, il tema.

Abbiamo detto che la Vergine secondo noi è una rappresentazione della Regina Eleonora d’Angiò. Altre prove verranno illustrate nel corso dello studio. Ci basti per ora semplicemente dimostrare il perchè la statua femminile con le dita intrecciate non può essere di origine pre-cristiana.

Nell’antichità pregare con le dita intrecciate, in Italia come in Sicilia, era vietato sia durante l’epoca greca che durante l’epoca romana. Si intrecciavano le dita in India e in Mesopotamia. Solo il cristianesimo portò la tradizione orientale della preghiera a mani giunte e intrecciate, usanza considerata anzi prima di malaugurio in occidente.

Pregare con le mani giunte e le dita intrecciate era, infatti, assolutamente vietato nel rito religioso romano. Frazer nel Ramo d’Oro 26cita Plinio per raccontarci di come per i Romani, durante un consiglio di guerra o una riunione di magistrati o durante preghiere o sacrifici o in qualunque altra occasione, nessuno poteva accavallare le gambe o intrecciare le dita 27.

In caso contrario gli astanti interrompevano qualunque attività.

Il megalite della Vergine è il settimo da est ad ovest, tra quelli da noi individuati, speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Esso è il megalite fondamentale su cui sono posti la vasca per i salassi e l’osservatorio lunare con il sestante inciso al fine dell’uso della Sfera di Pitagora per le rivelazioni sul decorso medico e per il calcolo delle fasi lunari mediante l’astrolabio28. Tra poco ne parleremo. Il sesto segno dello zodiaco domina, con i suoi oltre 50 gradi di lunghezza (dopo l’Hydra è la costellazione più lunga) il cielo della primavera. E’ una delle costellazioni più ricche di oggetti di grande importanza per l’astrofilo evoluto, grazie all’enorme quantità di galassie osservabili anche con strumenti medio piccoli. Confina a nord con Bootes e la Chioma, ad ovest con il Leone e la Tazza, a sud con il Corvo e l’Idra, ad est con la Bilancia e la Testa del Serpente.

La costellazione è dominata da Spica, stella di 1a magnitudine, che rappresenta tradizionalmente la spiga di grano tenuta dalla Vergine con la mano sinistra. La stella si localizza facilmente utilizzando le stelle circumpolari a e g Ursae Majoris: prolungando circa 6 volte la diagonale tra queste due stelle si arriva a Spica, facilmente riconoscibile dato che è la prima stella di notevole splendore che si incontra lungo tale percorso. Essa forma anche un evidente triangolo equilatero con Arturo (a Bootis) e Denebola (b Leonis).

La Costellazione del Corvo è visibile sull’orizzonte sud – sud ovest del cielo, prima del tramonto e fino alle ore 24, nel mese di giugno del 1300 Il Corvo è stato ricavato da una preesistente rupe tagliandola e scavandola al fine di ricavare il becco, la schiena e il petto del volatile. Il megalite è l’ottavo da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Il mito del Corvo, Cratere e Hydra è riportato in altra parte di questo libro. La costellazione del Corvo è visibile nell’emisfero settentrionale, per chi vive a latitudini medio-basse, da gennaio fino a maggio. Confina ad est e a nord con la Vergine, ad ovest con la Coppa e a sud con l’Idra. Possono risultare di un qualche interesse per l’astrofilo un paio di stelle doppie, una variabile ed un curioso oggetto celeste, che per la verità necessita di strumenti piuttosto potenti per poter essere osservato: la coppia di galassie soprannominata le Antenne, simile nelle fotografie a lunga posa ad un enigmatico insetto cosmico.

Come per gli altri megaliti l’immagine del megalite del Corvo è stata tratta da un disegno del Corvo, Hydra e Cratere riprodotti insieme nel testo di Abd al- Rahman ibn ‛Umar al-Ṣūfī (903-986), Libro delle costellazioni e delle stelle fisse (Liber locis stellarum fixarum) nella versione in possesso della Biblioteque Nationale de France ovvero il Ms Arabe 5036 Samarkand Paris. Questa versione è certamente del 1400 ma dovrebbe essere una copia attendibile dell’originale di Al-Sufi del 964 d.C.

La Costellazione dell’Hydra è visibile sull’orizzonte ovest del cielo, prima del tramonto e fino alle ore 22.00, nel mese di giugno del 1300 ed oggi. La preesistente processione di megaliti d’arenaria è stata lavorata mediante inserimenti di enormi massi negli spazi vuoti al fine di renderla simile alla schiena e agli aculei dell’Hydra. Il megalite è il nono da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Nel Regimen Sanitatis Arnau osserva che i giorni per i salassi sono i giorni Lunari nei tre mesi di maggio, settembre e aprile classificandoli come “giorni dell’Hydra”. E’ una costellazione che si estende moltissimo in lunghezza (oltre 100° da occidente verso oriente). La testa si trova sotto il Cancro, e si dirige verso est tra il Leone e la Vergine, terminando nei pressi della Bilancia. Non é formata da stelle particolarmente cospicue, ma contiene un buon numero di oggetti di notevole importanza.

La versione del Libro delle costellazioni e delle stelle fisse (Liber locis stellarum fixarum) da cui verosimilmente venne tratta l’immagine dell’Hydra è quella da cui è stata tratta la versione in possesso della Biblioteque Nationale de France ovvero il Ms Arabe 5036 Samarkand Paris e sopraccitata per la costellazione del Corvo.

La Costellazione del Cratere è visibile sull’orizzonte ovest del cielo, prima del tramonto e fino alle ore 22.00, nel mese di giugno del 1300 ed oggi. Il Cratere è stato ricavato da un preesistente megalite d’arenaria tagliando la sommità in obliquo al fine di renderlo visibile dal punto x come un grande contenitore e lavorando il lato est al fine di ricavare un enorme mestolo con impugnatura in stile medievale.

Il megalite è il decimo da est ad ovest, tra quelli da noi inviduati, speculare alla corrispondente costellazione tolomaica presente nel cielo di giugno. Il Cratere è una costellazione assai poco rilevante. Confina ad est con il Corvo, a sud con l’Idra, a nord con la Vergine e il Leone, ad ovest con il Sestante e l’Idra. Non contiene che qualche stella doppia o variabile di scarso interesse e nessun oggetto celeste di un qualche rilievo.

Anche per il Cratere vale quanto detto sopra. La versione del Libro delle costellazioni e delle stelle fisse (Liber locis stellarum fixarum) da cui verosimilmente Arnau trasse l’immagine del Cratere è quella da cui è stata tratta la versione in possesso della Biblioteque Nationale de France ovvero il Ms Arabe 5036 Samarkand Paris.

MEGALITI E SIGILLI

Dato come assunto che i megaliti riproducono in modo evidente dieci costellazioni celesti, secondo la iconografia caldea e greca, per come da noi scoperto nel 2009 e pubblicato in un testo del 2010, abbiamo provato a cercare nelle fonti storiche traccia di una concezione astrolatrica riproducente le costellazioni in statue.

I cosiddetti sabei di Harran, tra il 700 e il 1020 dc, inventarono tecniche per la riproduzione dell’immagine degli astri in “sigilli” o in “statuette” di pietra per fini medici spiegate in alcune opere arabe medievali, nel Picatrix, nel De Imaginibus del sabeo Thebit Ibn Qurra e nel De Radiis Stellicis di Al-Kindi, etc.. Essi fecero abbondante riferimento ai miti astrali dello scrittore romano Igino. Atteso che non è dato trovare nella storia e nella preistoria umana altra concezione astrolatrica riproducente le costellazioni in statue come quella sabea, è pressochè sicuro che le enormi statue di pietra (i megaliti) vennero poi issate e lavorate sull’ Argimusco, qualche anno o secolo dopo quelli in cui prosperò la civiltà ermetica sabea. Grande ammiratore delle opere di Al-Kindi e del sapere astrale sabeo era il medico di Federico, Arnau de Vilanova. Arnau apprezzava pure le tesi di Thebit tanto che lo cita nel suo testo De iudiciis astronomie. I testi medici arabi sulle virtù delle immagini (statue) di pietra riproducenti le costellazioni e sull’influenza dei raggi stellari sulle stesse immagini, vennero tutti tradotti in latino alla corte di Alfonso X il Saggio re di Castiglia nel 1250 e da lì portati in Sicilia dai sovrani aragonesi oltre che dal medico catalano Arnau de Vilanova. E’ anche documentato che Arnau venne in contatto con le idee di Al-Kindi sulla relazione tra stelle ed immagini in stile sabeo durante la sua attività accademica a Montpellier 29.

Arnau de Vilanova nelle sue opere parlò diffusamente delle costellazioni e delle corrispondenti immagini che le ritraggono al fine di applicazioni di medicina astrale (melotesia). All’epoca, nel contesto culturale arabo ispanico, era, infatti, in gran voga la medicina astrale. Essa, come vedremo tra poco, si basava su applicazioni di erbe e altri preparati fatte in connessione con le fasi lunari e sull’influenza dei raggi stellari su statue di pietra (o su sigilli) riproducenti i simboli delle varie costellazioni.

In questi ultimi tempi è aumentato lo studio da parte degli storici del grande periodo della storia medievale catalana dominato dalla Corona d’Aragona. La parte che più sta suscitando interesse è l’applicazione costante e metodica delle tecniche astrologiche tanto alla politica militare quanto alla medicina di corte. Non è un caso che astrologi e alchimisti come Arnau de Vilanova e Raimondo Lullo fossero al soldo della Corona Aragonese30.

I testi di altri autori, in particolare degli autori dei vari Lapidaria medievali, sopravissero fino all’epoca della Controriforma. Da quel momento in poi le tecniche di melotesia lentamente, a differenza dell’alchimia31ancora più o meno viva anche se sotto traccia, scomparvero dalla memoria collettiva dell’uomo occidentale. Fino a sparire definitivamente ai giorni nostri. Sui luoghi dell’Argimusco scese una cappa di silenzio e d’oblio. I locali e i forestieri in visita ai luoghi non riuscirono più a capire il senso e lo scopo delle grandi pietre issate e lavorate secondo forme diventate incomprensibili. Il sonno della ragione e la non comprensione dell’ignoto generarono, more solito, mostri. Nei secoli successivi la ignoranza delle tecniche di medicina astrale indusse uomini e donne a considerare il posto quale misterioso e magico. A piccoli gruppi, di nascosto dalla feroce Inquisizione di Spagna, uomini e donne si riunirono sul luogo per celebrare riti magici. Quei riti che lo stesso Arnau de Vilanova in un suo libro condannava senza appello32. Vitelli d’oro Intervista di Giuseppe Todaro su Centonove del 3 giugno 2011  [/note]venivano portati di corsa lungo il pianoro, riti di stregoneria e sabbah vennero inscenati sui luoghi (come vedremo tra poco l’albero di noce del sabbah delle streghe è il simbolo della vicina Novara di Sicilia)… e puntuale arrivò la reazione. Streghe vennero a decine bruciate, secondo le tradizioni locali proprio sull’Argimusco, da premurosi vescovi di Patti primi inquisitori del Regno. La superstizione occultista di alcuni prevalse sull’immoto silenzio delle pietre … E idioti di oggi continuano ancora a celebrare i loro “riti”, aprendo porte che è meglio rimangano ben chiuse. Torniamo all’esame dei megaliti dell’Argimusco questa volta rispetto alla letteratura sui sigilli.

IL SIGILLO DEL CIGNO

 

Arnoldus Saxo, poco dopo, nel XIII secolo nel testo “Liber de coloribus gemmarum”, contenuto nel “Liber de Floridus”, in questo modo indicava quali virtù fossero contenute nel sigillo raffigurante la costellazione del Cigno: “Si sinveneris in quo sit Signum (Sc. Cygnum) quod preest Aquario, ille lapis procul dubio te liberabit a paralisi et a febre quartana”. (Arnoldus Liber Floridus 19)”. Il megalite raffigurante la costellazione del Cigno è presente sull’Argimusco.

SIGILLO DELL’AQUILA

Arnoldus Saxo nel XIII secolo così diceva delle virtù del sigillo raffigurante la costellazione dell’Aquila: “Si inveneris in quo sit Aquila qui preest Capricorno, ille lapis conservabit veteres honores et novos acquiret (Arnoldus Liber Floridus 21)” mentre Camillo Leonardi nel 1502 diceva: “Aquila sive vultur cadens est imago aquilae volantis cum sagitta sub pedibus, in candro et in septentrionali parte collocatur. Jovis ac Martis naturae est. Sed Sagitta martis ad veneris: hae constellatione sum in lapide sculpta erunt, aut una ipsarum gestantis veteres honores conservat, ad novos acquirere facit, & ad victoriam conferre dicunt”. ll sigillo megalitico dell’Aquila è anch’esso presente sull’Argimusco.

IL SIGILLO DEL SERPENTARIO

Arnoldus Saxo nel testo “Liber de coloribus gemmarum”, contenuto nel Liber de Floridus, nel XIII secolo così indicava le virtù del sigillo raffigurante la costellazione del Serpentario: “Si inveneris serpentarium habentem serpentem cinctum, cuius manus dextra caput tenet, cum sinistra caudam, talis gestatus liberat hominem a veneno vel etiam bibitus ante cibum vel post”. Camillo Leonardi nel 1502, nel suo Speculum Lapidum invece diceva “Est hominis figura habentis serpentem cinctum, tenentis in dextra caput & in sinistra caudam. Est in signo scorpionis & in septentrione, naturam habet Saturnis ac Martis. Virtus eius si in lapide sculptus est, valere contra venena, velenosorum animalium mrsus curare: & si sotura eius bibatur facit venenum evomere sine lesione aliqua

Anche Arnau de Vilanova vi fa riferimento nel suo Antidotarium. In esso Arnau parla di come realizzare un particolare sigillo di pietra non zodiacale ritraente la costellazione del Serpentario al fine di curare gli avvelenamenti causati da morsi di serpente: “Ex mineralibus sumuntur gemme et mundate quarum naturas mirabilis aut artifex eruditus edotat interdum potentiis efficacibus in sculpendo in eis effigies constellationibus congruis ut alibi latius fertur, velut lapis quo homo tenens serpentem extinctum manu dextra et cauda ipsius manu sinistra invenitur in sculpturis natura vel arte liberat hominem a veneno sumpto”, Antidotarium, Opera, Lió 1520, f. 244rb). ll sigillo megalitico del Serpentario è anch’esso presente sull’Argimusco.

SIGILLO DELLA VERGINE

Arnoldus Saxo, nel XIII secolo, così indicava le virtù del sigillo raffigurante la costellazione della Vergine:”Si inveneris virginem insculptam habentem manus sitas ad modum crucis et extensas, intra angulum in capite et in cathedra sedens, hic lapis est solamen post laborem requies post infirmitatem, et in sanitate perfectissima custodit”, mentre nel 1502 Camillo Leonardi: “Virgo stolata cum veste profusa sculpta in jaspide, tenensque laurum in manu, gestantem potentem reddit, ac facile ab obminibus impetrantem, nec in aqua submergetur”. Nel De Sigillis Arnau de Vilanova così indica come preparare il sigillo della costellazione della Vergine: “Sigillum est Virginis: accipe ergo purum aurum sole existente in virgine videlicet XI die ante kalendas septmbris et fiat inde sigillum rotundum ut supra de aliis. Et sculpatur in eo figura Virginis dum sol est in virginie et dum malleo ferietur dicas sic :”Exurge domine, adiuva nos et libera nos propter nomen tuum” (…) Proprietas huius sigilli sunt hec quoniam defendit portantem se a dolore ventris et a colica passione. Et cito sedat orripilationem et typum febris et cephalargiam et omnem dolorem intestinorum solvit. Et valet at multa alia. Sigillentur autem ex eo alia medicinalia”. ll sigillo megalitico della Vergine è anch’esso presente sull’Argimusco.

SIGILLO DEL LEONE

Arnoldus Saxo, nel XIII, secolo così diceva delle virtù del sigillo raffigurante la costellazione del Leone: “Si inveneris leonem, hic valet ferenti ipsum contra ydropisim et egritudinem frigoris”. Arnau curò i calcoli renali del Papa Bonifacio VIII con un sigillo d’oro con sopra inciso un segno del Leone, posto sul rene con una cintura: nell’opera Speculum Medicine e del De Parte Operativa parla delle cure con il sigillo di pietra del Leone. Nel De Sigillis così dice della preparazione del sigillo: “Sigillum est leonis: XI die ante kalendas augusti accipe aurum et fac inde sigillum ut superius. Et sculpetur in eo forma Leonis(…) et dum mallio ferietur dicas:”exurge Leo de tribus Judas et intende iudicio meo, deus meus in causam meam”. Postea dicatur Psalmus: “Iudica me deus et discerne causam meam (…)”. Nel De iudiciis astronomie Arnau de Vilanova dice “Leo respicit cor et os stomachi et pulmonem et epar”. Guigonis de Caulhiaco scrisse “Et Hermes dixit, ut Arnaldus33et Conciliator testantur, quod ymago Leonis sculpta in auro purissimo Sole existente in Leone, Luna, Saturnum non respiciente nee ab eo recedente, in bracali aut in zona de corio vituli marini aut leonis portata, preservat a calculo34.

Il sigillo megalitico del leone anch’esso presente sull’Argimusco, accanto alle Vergine.

SIGILLO DEL CORVO

Camillo Leonardi nel suo Speculum Lapidum del 1502 così diceva della proprietà del sigillo riproducente la costellazione del corvo: “Corvus his cognitis vociferare incipiet: a longeque volabit ad hunc lapidem inveniendum: & invento ad nidum accedet: tactisque ovis ut cruda ac prolifica redibunt. Surripiatur lapis subito a nido. Cuius virtus est divitias augere, honores praebere ac multa futura praedicere”. Il megalite raffigurante la costellazione del Corvo è presente sull’Argimusco;

SIGILLO DELL’HYDRA

Arnoldus Saxo così raccontava le virtù del sigillo raffigurante la costellazione dell’Hydra: “Si inveneris lapidem in quo sit serpens habens urnam super dorsum et corvum super caudam, qui hunc habuerit, omnibus habundavit bonis, erit astutum et providus cura signa. Hic lapis etiam creditur posse resistere omni nocivo. Hic enim habet cancrum sub quo mittit caput suum, et dirigit ipsum usque ad centaurum” (Liber Floridus 14). Arnau de Vilanova nel Regimen Sanitatis osserva che i giorni per i salassi sono i giorni Lunari nei tre mesi di maggio, settembre e aprile classificandoli come “giorni dell’Hydra (“De phlebotomandi tempore Tres insunt istis, Maius, September, Aprilis, et sunt Lunares, sunt velut Hydra dies prima dies primi postremoque posteriorum, nec sanguis minui, nec carnis anseris uti”). Anche qui vediamo un riferimento astronomico ovvero alla Luna e alla costellazione dell’Hydra anch’essa presente come sigillo megalitico sull’Argimusco.

IL TETRAGRAMMATON TEMPLARE DI ARNAU

Dietro il megalite della Vergine troviamo, infine, una prova della presenza di Arnau sull’Argimusco: un Delta. Il delta si trova non a caso dietro il megalite della Vergine. Tra i gradi templari vi erano, infatti, i “Cavalieri del Delta Sacro”. Loro compito “custodire con fedeltà il tesoro della sapienza tradizionale, sempre velandolo a coloro che non sappiano penetrare nel “terzo cielo”.  Dall’orfismo e dal pitagorismo sappiamo che il terzo cielo è quello di Venere35.

Una preesistente roccia è stata rimaneggiata al fine di renderla perfettamente triangolare, a forma di delta. Non trattasi di una piramide, causa l’irregolarità degli altri lati. Degli scalini sono stati poi scavati sopra di esso al fine di consentire di salirvi sopra.

Il delta, oltre che essere l’antico simbolo pitagorico della Tetraktis pitagorica, era anche il simbolo del Tetragrammaton 36.ovvero il nome di Jahve (“יהוה”): Joth, Heth, Van (Vau), Heth. Di esso Arnau tratta estesamente nel libro “Allocutio super significatione nominis “Thetragrammaton”: “Cum igitur ordine temporis hebrayca lingua precedat latinam, in acceptione Sacre Scripture contemplemur primo figuras litterales quibus in hebreo scribitur illud nomen. Sunt autem he: “יהוה“, id est yod, he, vau, he» 37. Arnau, nel testo, riduce le lettere del nome da quattro a tre (il delta, appunto) per esprimere la Trinità, seguendo anche l’insegnamento ebraico cui era stato introdotto dall’ebreo convertito Ramon Martì.

Le lettere del Tetragramaton dovevano essere incise anche sui sigilli/statue, secondo le indicazioni che lui stesso dà nel “De Sigillis”.

Il medico Arnau, amico dei fraticelli spirituali e beghino convinto, era fortemente consapevole della necessità di associare alle cure mediche, regolate dalle stelle, anche preghiere a Dio. Cui, comunque, prescrive di rivolgersi, soprattutto, durante la preparazione dei sigilli astrali, per come vedremo infra.

Insomma, l’Argimusco non sarebbe mai stato un luogo di strane pratiche magiche o di antichi riti sulla fertilità. E’ stato creato, come meglio spiegheremo nella pagine seguenti, per la pratica della medicina astrale e della medicina alchemica in voga presso i francescani, come Ruggero Bacone, Arnau de Vilanova o Giovanni da Rupescissa. I Francescani spirituali 38,lo ricordiamo, venivano protetti dalle persecuzioni e accolti in Sicilia da Federico III. Arnau, dopo avere scritto vari libri rivolti ai Beghini di Provenza, simpatizzò per gli spirituali toscani e si rifugiò in Sicilia per sfuggire all’Inquisizione di Perugia.

Sui templari Arnau dice nel Expositio super Apocalypsi, «ECCLESIA LAODICIE respicit primo et principaliter septimum et ultimum tempus Ecclesiae militantis, quod post mortem Antichristi curret usque ad finem mundi. Secundario respicit statum regularem Christo militantem, ram corporaliter quam spiritualiter, ut est status Hospitalariorum et Templariorum et Uclesii et Calatravae et similium…». In una lettera a Giacomo II Arnau considera i cavalieri templari come uno dei segni positivi del settimo tempo della Chiesa che seguirà la morte dell’Anticristo (Ad Jacobum Il de Templariis)39.

Il sito è stato, dunque, ideato dal medico Arnau de Vilanova? Non è ancora l’ora di avanzare tali ipotesi. Arnau de Vilanova è, comunque, il più grande personaggio storico di levatura mondiale che abbia mai vissuto nell’area.

IL SESTANTE DI PIETRA ARABO

Il Sestante è una trincea scavata nella roccia, arcuata e segmentata come un sestante per la misurazione delle fasi lunari al fine dell’applicazione di salassi medici. E’ una costellazione?

La Costellazione del Sestante è stata catalogata dall’astronomo Hevelius solo nel 1687. Centinaia di anni dopo la vita dell’indiziato numero uno, Arnau de Vilanova.

A differenza di quanto sostenuto nel nostro primo scritto sul tema 40,non si tratta di una costellazione, ma di uno strumento di lavoro medico in pietra che associato alla sfera di Pitagora concorreva alla diagnosi e alla terapeutica medica.

Gli studiosi Pantano e Todaro, prima dei nostri scritti, individuarono correttamente l’esistenza di un sestante di pietra, la cui origine attribuirono ad epoche preistoriche. Di sestanti di pietra, come quelli dell’Argimusco, non esiste, però, alcuna prova nei periodi precedenti all’epoca storica.

 

I sestanti di pietra erano, invece, una sorta di specialità per gli astronomi medievali arabi. A loro viene attribuita l’invenzione e la sperimentazione di tali strumenti per la prima volta nella storia. Il primo sestante di pietra conosciuto venne costruito a Ray, in Iran, da Abu-Mahmud al-Khujandi nel 994 41. Esso serviva per misurare l’obliquità dell’ellittica. Ad Al-Khujandī viene attribuita l’invenzione del sestante che egli chiamò “Sestante al-Fakhri (al-suds al Fakhrī), in omaggio al suo padrone: Buwayhid, Fakhr al Dawla (976-997).

Lo strumento aveva un arco di 60 gradi su un muro allineato lungo un arco meridiano sulla linea nord sud.

Bene, per come ammette lo stesso studioso Todaro, il sestante dell’Argimusco ha un angolo di curvatura di 60°. Inoltre il sestante dell’Argimusco è di pietra come quello di al-Khujandi ed è perfettamente allineato lungo la meridiana sulla linea nord sud42.

Il più grande progresso determinato dal sestante di al-Khujandi era che rispetto ai precedenti sestanti esso portava la precisione della lettura in termini di secondi, mentre gli altri permettevano di leggere gradi e minuti.

Tale funzione era stata, in parte ma non in toto, intuita dal Todaro che in un suo scritto affermava: “Se si punta una stella posta sulla direzione dell’estremità est dell’arco e se ne segue il percorso nel cielo fino a raggiungere l’estremità opposta, il tempo impiegato è di quattro ore; ogni segmento corrisponde ad un intervallo di tempo di 20 minuti pari a un angolo di 5 primi”43.

La precisione della lettura in secondi venne poi confermata da al-Biruni, al-Marrakushi e da al-Kashi. Al-Khujandi usò il suo strumento per misurare l’angolo del sole sull’orizzonte nei solstizi d’estate. Per come abbiamo scritto nel nostri quattro libri sul tema, l’utilizzo dell’Argimusco, anche per ragioni climatiche, era legato al solstizio estivo, esattamente come il sestante di al-Khujandi.

Le misurazioni del sestante dell’Argimusco permettevano, insomma, di computare l’obliquità dell’ellittica per le varie funzionalità necessarie ai vari utilizzi medici propri della medicina astrale.

Ma c’è di più. Come detto, i sestanti di pietra di al-Khujandi e quello dell’Argimusco, per come evidenziato nel testo di O’Connor citato in nota, avevano una precisa funzionalità per i solstizi, in particolare, per  quello estivo. Sin dal 2010 abbiamo sostenuto44,tra l’incredulità di tanti, che i megaliti dell’Argimusco sono uno specchio delle costellazioni presenti all’orizzonte in direzione sud, da est ad ovest. Unica differenza è che nel 2010, sostenevamo che la precisa corrispondenza tra i megaliti e le costellazioni fosse evidente durante l’alba del solstizio del 10.500 A.C., ovvero in epoca preistorica. La scoperta da noi successivamente fatta delle numerosissime controprove sull’origine medievale ci ha portato a rivedere le nostre stesse tesi sulla data di origine del sito. Non solo. Nel successivo libro del 201145,ci accorgemmo anche che la corrispondenza tra megaliti e costellazioni era altrettanto e ancor più speculare durante il tramonto delle serate estive del mese di giugno nel 1300, come anche oggi, causa il lentissimo spostamento precessionale delle stelle.

Lo studio citato in nota conferma, dunque, le nostre vecchie tesi sull’utilizzo del sestante di pietra per la lettura delle costellazioni, in particolare, durante il solstizio d’estate.

Ricordiamo che, come già esaminato nei suoi testi, Arnau de Vilanova aveva studiato e utilizzava assiduamente il sestante per le tecniche medico-astrologiche arabe, conoscendo bene la lingua araba. Potrebbe essere, dunque, stato Arnau ad applicare sull’Argimusco quelle pratiche di lettura dei cieli in gran voga presso gli astronomi arabi?

Ancor di più lo studio conferma il perché sull’Argimusco furono realizzate solo quelle dieci costellazioni e non altre costellazioni, ad es. dello zodiaco.

Il motivo è legato all’utilizzo del sestante di pietra, insieme all’astrolabio e alla sfera di Pitagora (del cui utilizzo ci parla diffusamente lo stesso Arnau), per le misurazioni celesti.

Le costellazioni che si vedevano dal sestante arabo sull’orizzonte sud, sud est e sud ovest, al solstizio estivo dell’Argimusco nel 1310 e 1311 erano esattamente le dieci costellazioni  riprodotte sul sito come statue megalitiche. Non è un caso, lo ripetiamo, che l’unica costellazione non riprodotta sul sito è quella dello Scorpione, oggi come allora coperta a sud dall’Etna.

La riproduzione speculare di quelle dieci costellazioni sulla terra (Cygnus, Sagitta, Aquila, Serpens, Serpentarius, Leo, Virgo, Corvus, Hydra e Crater) aveva due funzioni: 1) sulla base delle teorie di Al-Kindi e Thebit ibn Qurra permetteva di trasmettere, tramite la specularità delle statue megalitiche, gli attributi propri di quelle certe costellazioni a chi le guardava, per finalità mediche di melotesia 2) consentiva di meglio identificare le costellazioni presenti sul cielo estivo viste dal sestante di pietra facendo riferimento alle sottostanti statue. Le tacche incise su di esse, tutt’ora visibili sull’Aquila, accanto al Leone, sulla Sagitta, sulla Civetta e su altre pietre, consentivano di misurare i vari gradi delle fasi lunari per le applicazioni mediche e per l’applicazione dei salassi, in particolare.

Tante era importante l’uso del sestante arabo per Arnau de Vilanova che egli consigliava sempre al medico di utilizzare, comunque, la luna e il sestante quale riferimento per le misurazioni dei quadranti al punto da dire che quando il medico non poteva facilmente calcolare il movimento dei pianeti, questi poteva comunque esaminare per maggiore efficacia la luna46. Trattasi, dunque, di una medicina astrologica e, comunque, lunare.

Abbiamo già visto che nei libri Regimen Podagre e Regimen Sanitatis, lo stesso Arnau fornisce accurate istruzioni per fare certe terapie utilizzando la Sfera di Pitagora, insieme al classico astrolabio47 utilizzato in connessione con il sestante, come da pratica astronomica e da iconografia medievale qui riportata, al fine del calcolo delle fasi Lunari. Ricordiamo che Arnau raccomanda di evitare di fare salassi con la Luna in gemelli.

Gli indizi di tipo letterario e storico raccolti continuano a riportare sempre un unico nome ricorrente. Un nome di un personaggio che, peraltro, sappiamo avere vissuto nelle immediate vicinanze. Il maestro Catalano Arnau de Vilanova è stato, dunque, l’autore dell’Argimusco?

LA VASCA PER LE SANGUISUGHE

Sopra il megalite della Vergine è la “Vasca”. Essa è stata variamente definita come tomba o come vasca per la raccolta delle acque per non meglio definiti riti.

Nel precedente libro ipotizzammo che sarebbe stata usata per delle pratiche (antiche ma ben documentate) legate alla cura e alla rigenerazione del corpo fisico, tecniche in uso presso la Confraternita dei Rosacroce. Tutto il grande “Specchio del cielo”, dicevamo, sarebbe stato, di fatto, concepito come funzionale allo scopo della medicina delle stelle. Infatti, quale attributo veniva attribuito nel Medioevo al cielo e alle stelle? l’immortalità, appunto48. Ricordiamoci l’incipit della famosa “Tabula Smaragdina”: “Verum sine mendacio, certum et verissimum. Quod est inferius est sicut quod est superius, et quod est superius est sicut quod est inferius ad perpetranda miracola Rei Unius”.

Lo specchio magico del cielo, dicevamo, faceva sì che tale attributo celeste venisse rispecchiato sulla terra. “Come in cielo così in terra“, prima di essere una frase della preghiera cristiana del Padre Nostro era una delle basi dell’insegnamento di Ermete Trismegisto. Oggi come allora lo “Specchio del cielo” funziona: esso fa sì che la “qualità” dell’immortalità possa essere rispecchiata su chi sta sotto le stelle, nelle tiepide serate estive, sull’Argimusco”, dicevamo49. Da allora la nostra ricerca sui testi e sulle fonti storiografiche ha fatto emergere diverse e più concrete ipotesi di soluzione dell’enigma della vasca.

In particolare, la comprensione dell’origine e della funzione del sestante di pietra ci fanno capire anche la funzione della vicina vasca. Più proisacamente, oggi, riteniamo, infatti, che la vasca non fosse altro che uno strumento medico necessario alla terapia mediante salassi.

La medicina astrale insegnava che, per mezzo della Sfera di Pitagora (chiamata anche di Apuleio), usata per le diagnosi e le previsioni mediche insieme al Sestante di pietra arabo, il medico poteva capire quando procedere all’applicazione delle sanguisughe.

Al fine di evitare collassi i pazienti che avevano subito la flebotomia e/o l’applicazione di salassi dovevano essere messi a testa in giù.

Il piano scosceso attiguo al sestante di pietra, secondo noi, veniva utilizzato per mettere i pazienti a testa in giù per evitare, appunto, il collasso. Forse la tipica colorazione rossastra della pietra era legata alla dispersione di sangue dovuta alla flebotomia.  Più probabilmente trattasi del tipico colore rossastro dell’arenaria. Rimane il fatto che il piano scosceso era opportunamente vicino al sestante e alla vasca per le sanguisughe.

Certamente, lo stesso Arnau de Vilanova, in numerosi scritti sulla materia, diede istruzioni su come somministrare i salassi sulla base dell’osservazione delle fasi lunari, consigliando di farli durante i giorni lunari dell’Hydra nei mesi di aprile, maggio e settembre. Arnau nella tecnica del salasso si rifaceva agli scritti di Avicenna quali il Kitāb al-Qānūn e, specialmente, all’al-Tasrīf li-man ʿajaza ʿan al-taʿlīf di Abulcasis (Abu al-Qasim Khalaf ibn al-Abbas al-Zahrawi).

Cosa manca al contesto di chiara funzionalità medica medievale? Gli strumenti principi del salasso, ovvero le sanguisughe. Dove venivano messe? E’ la stessa tecnica medica ispanica che ci informa di contenitori di sanguisughe in grandi vasi di terracotta o scavati nella pietra.

Ne riviene che la vasca dell’Argimusco, sita accanto al sestante arabo di pietra e accanto al piano inclinato, era proprio la vasca per l’allevamento delle sanguisughe.

La vasca scavata nella roccia, non è come qualcuno dice una tomba50,ma, dunque, proprio la canonica vasca d’acqua necessaria per allevare le sanguisughe necessarie ai salassi, almeno nel periodo estivo. Il plateau scosceso era, forse, il luogo in cui si sarebbero sdraiati i pazienti durante i salassi.

Il quadro diventa sempre più chiaro. L’Argimusco aveva una funzione medica.

PAUL DEVINS & ALESSANDRO MUSCO

Note

  1. Sul tema dei megaliti e costruzioni allineate tra la sterminata bibliografia vedi Il mistero di Orione di R. Bauval e A. Gilbert, Corbaccio 1997 e “Impronte degli dei”, di G. Hancock 1997   
  2. Sulle costellazioni vedi Piero Bianucci “Stella per Stella”, Giunti 1997  
  3. La duplice figura dell’aquila e del serpente (che segue sul pianoro) acquistava il significato del Cielo e della Terra, della lotta tra l’Angelo e il Demone, metafora del contrasto tra bene e male. In alchimia l’aquila è lo spirito costretto nella materia bruta che si libera solo dopo la fase di riscaldamento prolungato nell’Athanor e si concretizza nell’alto dell’alambicco. L’aquila bianca fu percepita come una proiezione maschile associabile al potere soprannaturale e il suo sangue, nelle vecchie farmacopee, veniva prescritto come un rinvigorente delle forze e unico mezzo per ridonare la fecondità delle donne sterili. Tanto il megalite a forma di aquila quanto il menhir più alto sono allineati esattamente lungo l’asse est-ovest. Ciò significa che ponendosi con le spalle rivolte al megalite cosiddetto “fallico” e guardando l’Aquila si può vedere sorgere il sole esattamente dietro quest’ultima nei giorni degli equinozi (di Primavera e di Autunno) Analogamente ponendosi con le spalle di fronte al rapace e guardando il menhir si può vedere tramontare il sole esattamente ad ovest sempre nei medesimi giorni: osservazione fatta da Ignazio Burgio in un ottimo studio (il migliore presente su internet) “Le pietre dei giganti, gli orientamenti astronomici dei megaliti di Montalbano Elicona”
  4. La leggenda è riportata da Igino insieme a molte altre su “De Astronomia” e nelle “Fabulae”. Di recente è stata ripubblicata la Mitologia Astrale di Igino cfr. , Igino Mitologia Astrale, 2009, Adelphi  
  5. Ovidio in “Metamorfosi”, libro X, 155-161: “Una volta il re degli dei, d’amore ardendo per il frigio Ganimede, si mutò in nuove sembianze che più belle gli parvero di quelle divine. Fra tutti gli uccelli degno di sé stimò quello capace di portare le sue saette. Senza indugiare, l’aria battendo con false penne rapì il giovinetto della stirpe di Ilo, che ancora oggi mesce il vino e il nèttare serve a Giove, Giunone ostile” 
  6. Vedi Igino nelle Favole “Homines antea ab immortalibus ignem petebant neque in perpetuum servare sciebant; quod postea Prometheus in ferula detulit in terras, hominibusque monstravit quomodo cinere obrutum servarent. Ob hanc rem Mercurius Iovis iussu deligavit eum in monte Caucaso ad saxum clavis ferreis et aquilam apposuit, quae cor eius exesset; quantum die ederat, tantum nocte crescebat. Hanc aquilam post xxx annos Hercules interfecit eumque liberavit”.
  7. C’è una grande varietà di interpretazioni sull’identità del personaggio del Serpentario, ma secondo gli astronomi greci, si tratterebbe di Asclepio (Esculapio per i Romani), figlio di Coronide e di Apollo, dio del Sole. Il piccolo venne affidato all’educazione del centauro Chirone, da cui apprese così bene le arti curative da essere considerato da molti mitografi il padre della medicina. Un giorno Asclepio fu chiamato dal re Minosse perché salvasse dalla morte il figlio Glauco, annegato in un grande vaso pieno di miele. Mentre ne osservava il corpo esanime, notò un serpente che si attorcigliava intorno alla verga di legno che teneva in mano: con uno scatto repentino uccise l’animale utilizzando lo stesso bastone. Poco dopo entrò nella stanza un altro serpentello con in bocca un’erba che pose sulla testa del primo facendolo resuscitare: Asclepio utilizzò la stessa erba su Glauco e riportò in vita il giovane. Il prodigioso evento, però, non fu gradito ad Ade, dio dei morti, il quale, vedendo minacciato il suo regno, invocò l’intervento di Zeus. Questi uccise Asclepio con un fulmine ma scatenò a tal punto la collera del padre che questi, per vendetta, colpì a morte i tre Ciclopi che avevano forgiato le saette. Per placare l’ira di Apollo, il re degli dei ne immortalò il figlio sotto forma di costellazione. Il serpente attorcigliato intorno ad un bastone, simbolo ancora oggi dell’arte medica, trae la sua origine proprio da questo racconto mitologico.  
  8. Così ci narra l’episodio Ovidio nelle “Metamorfosi”, libro II, 642-648 “Cresci, fanciullo, apportatore di salute a tutto il mondo! Spesso i corpi dei mortali ti dovranno la vita. A te sarà permesso di rendere l’anima a chi l’ ha perduta: ma quando avrai osato farlo una volta, suscitando lo sdegno degli dei, il fulmine di Giove tuo avo t’impedirà di farlo una seconda volta, e da dio che sei diverrai corpo esangue e da corpo tornerai ad esser dio, ripetendo due volte il tuo destino!…” Asclepio prese la stessa erba e la pose sul corpo di Glauco, e l’effetto magico si ripeté. (Robert Graves sostiene si trattasse di vischio che per gli antichi aveva forti proprietà rigenerative.) A causa di quest’incidente, dice Igino, Ofiuco è rappresentato in cielo con in mano un serpente, che è divenuto il simbolo del recupero della salute per la caratteristica che i serpenti hanno di cambiare pelle ogni anno, come se ogni volta rinascessero.Altri, però, dicono che Asclepio ricevette dalla dea Atena il sangue di Medusa la Gorgone. Il sangue che sgorgava dalle vene del suo fianco sinistro era velenoso, ma quello del fianco destro aveva il potere di fare risorgere i morti. Uno degli uomini che si suppone Asclepio abbia resuscitati fu Ippolito, figlio di Teseo, che morì precipitando dal suo carro (qualcuno lo identifica con la costellazione dell’Auriga). Mentre prendeva le erbe guaritrici, Asclepio toccò per tre volte il torace del ragazzo, pronunciando parole propiziatrici ed Ippolito sollevò la testa. Ade, dio del Mondo dell’Oltretomba, si rese presto conto che il flusso di anime morte nel suo regno si sarebbe drasticamente ridotto se questa tecnica fosse diventata di conoscenza comune. Protestò presso Zeus, il dio suo fratello, e quello colpì Asclepio con la folgore. Apollo si sentì oltraggiato per il trattamento severo riservato a suo figlio e si vendicò uccidendo i tre Ciclopi che forgiavano le folgori di Zeus. Per placare Apollo, Zeus rese Asclepio immortale (date le circostanze non era certo possibile riportarlo in vita) e lo pose fra le stelle come costellazione di Ofiuco.  
  9. L’idra compare in due leggende. La prima e la più nota è quella in cui si racconta dell’Idra Femmina come della creatura che Eracle combatté e uccise nella seconda delle sue famose fatiche. L’Idra Femmina, una bestia dalle molte teste, era figlia del mostro Tefeo e di Echidna, una creatura metà donna e metà serpente. Era quindi consanguinea del dragone posto a guardia delle mele d’oro e ricordato nella costellazione del Dragone. Si ritiene che le teste dell’Idra fossero nove, e che quella posta in mezzo fosse immortale. (In cielo, tuttavia, è raffigurata con una sola testa – forse quella immortale.) L’Idra viveva in una palude vicino alla città di Lerna e da quella di tanto in tanto faceva delle sortite nelle pianure vicine, per divorare bestiame e devastare le campagne. Sia il fiato che l’odore che si lasciava dietro erano ritenuti talmente velenosi che chiunque li respirasse moriva tra atroci sofferenze. Eracle raggiunse il nascondiglio dell’Idra sul suo carro e lo colpì con frecce infuocate per costringerla a uscire allo scoperto, dove l’affrontò. L’Idra gli si avvolse intorno a una gamba; con il bastone Eracle le sfondò le teste, che però, appena distrutte, ricrescevano immediatamente in numero doppio. Ad accrescere le preoccupazioni dell’eroe, un granchio saltò fuori dalla palude e l’attaccò al piede che aveva libero, ma Eracle lo schiacciò uccidendolo. Il granchio è commemorato nella costellazione del Cancro. Eracle chiese aiuto al suo cocchiere Iolao, che bruciò il moncone di ciascuna testa non appena Eracle la mozzava per evitare che ne crescessero altre al suo posto. Alla fine Eracle tagliò la testa immortale dell’Idra e la seppellì sotto una pietra enorme al lato della strada. Tagliò per lungo il corpo della bestia e immerse le sue frecce in quel fiele velenoso.  
  10. Curiosamente molti cognomi in Sicilia, tanto orientale che occidentale confermano l’interesse per tale materiale: Salnitro o Salanitro.  
  11. Su un emblema alchemico che fa da frontespizio al commentario biblico di un monaco del XVII secolo (“Glossae” medievali di Strabone e di Nicola di Lyra, 1600). “Al centro della figura presa in esame campeggia una gallina che cova cinque uova, accovacciata sul suo nido. Subito sotto al nido si incrociano un caduceo e una tromba da araldo, annodati tra loro da un legaccio. L’immagine della gallina che cova è incorniciata da due figure mitologiche: a sinistra di chi guarda è raffigurato il busto della dea Athena-Minerva, che reca sul petto l’Egida con la testa della gorgone Medusa ed è sormontata da una civetta. Dalla parte opposta troviamo invece il busto del dio Hermes-Mercurio, che reca un sacchetto di monete appese al collo ed è sormontato da un gallo. Tra il gallo e la civetta si srotola il motto “Noctu Incubando diuque” (“covando notte e giorno”) ed è raffigurata una lampada ad olio da cui si sprigiona una fiamma ardente. Tra la tromba araldica e il caduceo è infine possibile scorgere un oggetto di difficile intelligibilità, che appare come il guscio vuoto di una conchiglia munita di due aperture” Cristianesimo e Alchimia di Padre Antonio Gentili e Alessandro Orland, Esonet, internet. La civetta è un attributo di Athena (vedi M.V. Cartari Reggiano, Immagini delli dei de gl’antichi, Venezia 1647)  
  12. Nell’opera alchemica “Emblemata” Attributi di Athena (M.V. Cartari Reggiano, Immagini delli dei de gl’antichi, Venezia 1647) vi sono Mercurio e Minerva insieme, con caduceo e civetta, e la legenda recita: “In Nocte Consilium”. Un secondo emblema ci mostra Minerva e la civetta in un paesaggio notturno e la scritta dice: “Nocte vigent sensus, hinc est sacrata Minervae Noctua, quae triplici lumine nocte videt”. In un’altra raffigurazione alchemica intorno ad una civetta posta su dei libri l’iscrizione, “Semper solus”, atta a descrivere lo studio del ricercatore nelle materie ermetiche.  
  13. C.G. Jung Volume Thirteeen “Alchemical Studies”, figura B7. Sotto la figura stava scritto: “Picture of the pellican, the vessel in which the circulatory distillation takes place” Page from Rhenanus, Solis e puleo emergentis sive disertationis chymotechnicae libri tres (Frankfurt a.M. 1613). Nell’articolo “Cristianesimo e Alchimia” su Esopedia, Internet, di Padre Antonio Gentili e Alessandro Orland vediamo che l’iconografia del pellicano e del vaso Jung l’aveva tratta dal libro di Giovan Battista Della Porta, De Distillatione, Roma 1608  
  14. Nei canti XXIV e XXV del Paradiso si trova il triplice bacio del principe Rosa Croce e il pellicano, (…). queste metafore erano già adoperate dai Pauliciani predecessori dei Catari nei secoli X e XI, P.Sedir Il segreto dei Rosacroce, G.Casini, 2010, pag. 15  
  15. “Cavaliere Rosa-Croce” è la denominazione di uno dei gradi della massoneria del “Rito Scozzese Antico e Accettato” (il 18º grado è appunto quello di Sovrano Principe Rosa+Croce o Cavaliere dell’Aquila e del Pellicano).
  16. Il testo è presente in “Les oeuvres alchimiques attribuées à Arnaud de Villeneuve” di Antoine Calvet, S.E.H.A. ARCHE’, prefazione di Sebastià Giralt, 2011, pag. 557 e ss.
  17. F.T.Paracelso, Scritti, Brancato, 1991, pag. 159.  
  18. Bacone ci dice che Artefius visse 1025 anni (cfr, Bacone in Liber sex scientarum in 3e gradu sapiencie, ed Little and Withington, Fratris Roger Bacon, De retardatione accidentium senectutis cum aliis opusculis de rebus medicinalibus, p. 181-186)  
  19. Le statuette di cera o di altro materiale, vastamente utilizzate nella Spagna culturalmente arabizzata di Alfonso X il Saggio, attrassero l’attenzione dei giuristi compilatori del Siete Partidas: la creazione di statuette di cera “for amourous enchantment were just as dangerous as summoning spirits”. Pertanto nel Siete Partidas la creazione di statuette venne messa in analogia alla somministrazione di tinture di erbe che potevano causare la morte di coloro che le avevano assunte, “…because all of these practises could potentially end a person’s life, the jurists bundled them together”, vedi A Kingdom of Stargazers: Astrology and Authority in the late Medieval Crown of Aragon di Michael E. Ryan 2011 pag. 93, 94 che cita Samuel Parsons Scott e Robert Ignatius Burns Las Siete Partidas, 5 vol. Philadelphia, University of Pennsylvania Press 2000  
  20. Il Pergamenthandschrift M II 141 è un manoscritto del quindicesimo secolo in deposito presso la ForschungBibliothek di Gotha in Germania. Si tratta di una delle numerose edizioni del Liber locis stellarum fixarum che Al Sufi scrisse nel 964 per tradurre dal greco l’Almagesto di Tolomeo e che riconsegnava al mondo medievale le conoscenze astronomiche della cultura greca rimaste dimenticate per quasi mille anni. Questo manoscritto ha la caratteristica di rappresentare con tratti stilistici occidentali le figure delle 48 costellazioni tolemaiche. Il Pergamenthandschrift M II 141 è stato oggetto di studio da parte di Gotthard Strohmaier che nel 1984 scrisse il saggio Die Sterne des Abd ar-Rahhaman as-Sufi, pubblicato nella RDT dalla Gustav Kiepenheuer Verlag di Leipzig und Weimar,
  21. “Orante” per come l’hanno chiamata il Pantano e il Todaro, vedi loro opere citate in prosieguo  
  22. Sulla sua vita vedi il testo di V. Casagrandi, La francescana Eleonora d’Angiò, regina di Sicilia, Catania 1926 e A. Kiesewetter il Dizionario Biografico Treccani  
  23. “item tabernalculum ligneum quod dedit regina Siciliae”. R. Chabas Inventario de los libros, ropas y demas efectos de Arnaldo de Villanueva, in Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos”, 9, 1903, p.196 nota citata in Francesco Costa “Eleonora d’Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia” in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco – Franciscana 13/1  
  24. Eleonora d’Angiò trascorse gli ultimi anni della sua vita indossando per devozione l’abito delle clarisse e vivendo in solitudine e raccoglimento. Visse in una piccola villa, costituita da alcune case terrane da lei fatte costruire con giardino e cisterna, alle falde dell’Etna nel villaggio Guardia dell’antica Malpasso. Venerando Bruno, dopo vari studi e proteste pubbliche, nel gennaio 2007, con altri, promosse l’ottenimento del vincolo quale bene culturale sull’area della Cisterna della Regina adiacente alla villa, oggi ancora esistente ancorchè fortemente rimaneggiata nel XIX secolo. Troppo tardi, l’incuria ha devastato tanto le case come anche l’edicola votiva che la ritraeva con la Vergine Maria, immagine oggi pressochè invisibile. Della regina Eleonora rimane la figura sotto la Vergine nel mosaico dell’abside di sinistra della Cattedrale di Messina. La grande cisterna del villaggio Guardia era stata fatta costruire dalla regina a beneficio dei contadini del luogo per irrigare le campagne. Dalla villa si recava spesso presso i monaci benedettini dell’attiguo monastero di San Nicola l’Arena per conversare o prendere parte ad esercizi di penitenza. Nel casale La Guardia morì all’età di 58 anni il 9 agosto 1343. Come lei sua figlia, Caterina, e le sue nipoti, Costanza e Bianca, figlie di Pietro II si rinchiusero nel monastero delle Clarisse di Messina. La figlia ne divenne l’abbadessa. Vale la pena dire che lo zio di Eleonora era S. Luigi IX re di Francia e patrono dei Terziari francescani e il fratello di Eleonora era S. Ludovico vescovo di Tolosa. Per sua disposizione Eleonora venne seppellita nella chiesa di san Francesco all’Immacolata a Catania, da lei fatta erigere sopra il tempio romano dedicato alla dea Minerva. Oggi la sua immagine danneggiata dai vari terremoti e incendi è visibile nell’abside sinistra della Cattedrale di Messina, sul lato sinistro in basso dell’immagine, cfr.Francesco Costa Eleonora d’Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco – Franciscana 13/1, p. 217/18 e Mons. Savasta Memorie storiche di Paternò, p. 164/66.  
  25. Nella versione del libro di Al-Sufi Ms Arabe 5036 c. 1430-1440, Samarkand -Paris, Bibliothèque Nationale de France la Vergine ha le braccia lungo il corpo. Nella versione in possesso del Metropolitan Museum di New York la Vergine ha le braccia aperte sui lati.  
  26. J.G. Frazer Il Ramo d’Oro, Newton Compton 2009  
  27. I Romani pregavano gli Dei con gli occhi rivolti al cielo e la mano destra tesa (Virgilio – Eneide). La supina manus, col palmo della mano aperta, dita unite e tese leggermente indietro è menzionata da molti autori romani, tra cui Catullo e Virgilio. Tito Livio scrive di Marco Curzio che “la sua mano tesa verso gli Dei in cielo, ora ai Manes nel baratro ha dedicato se stesso”. E un centinaio di anni dopo Silio Italico, Valerio Flacco, e Papirio Stazio riferirono come un romano pregava “alzando le palme delle sue mani al cielo” (Val. Flacc. Argo). Infatti si pregava con una mano alzata o con ambedue, ma rigorosamente in piedi (i Romani non si inginocchiavano neppure agli Dei). Se si doveva pregare un Dio terrestre l’orante sarebbe ricorso all’uso della mano destra, supina manus, mentre la mano verso le stelle avrebbe diretto il palmo della mano verso la dimora del Dio. Ne conseguiva che pregando a Silvano si sarebbe potuto dirigere il palmo della mano verso una vicina foresta. Per pregare Neptunus, il palmo doveva essere diretto alle acque più vicine, mentre per pregare un Dio celeste, si poteva dirigere il palmo anche verso la Sua dimora terrestre, come un tempio o addirittura verso un altare a cui il Dio è stato invocato. Del resto il romano pregava rigorosamente in piedi, inchinarsi di fronte agli Dei o all’imperatore non era degno di un Romano e non veniva richiesto neppure agli schiavi. L’abitudine di inginocchiarsi o prosternarsi non era nè romana nì greca, ma prettamente orientale e barbarica. Sacrificare agli Dei celesti o terrestri richiedeva di servire le offerte e versare libagioni con la mano destra. Ma quando si sacrificava alle divinità infernali si teneva la sua mano destra prona manus e si serviva l’offerta con la mano sinistra versando i contenuti in una fossa scavata in terra. Alla fine del rito si faceva, infine, un gesto di liberalità, come aggiustarsi la toga o toccarla ecc. per indicare la fine del rito. Così anche presso i Greci il gesto di adorazione più importante è un braccio levato in alto, più in alto e con più vigore nel periodo arcaico, in confronto a quello classico, quando si consideravano sufficientemente espressivi anche i gesti più contenuti. Dalle testimonianze figurate non pare vi fosse differenza fra il sollevare la destra o la sinistra. Nella letteratura è detto: “pregare verso qualcuno” = τείνειν γεῖρά τινι (ad esempio Callimaco, Inno a Demetra., 131); e già in accadico si dice per pregare “alzare le mani”, ed abbiamo di questo innumeri esempi anche nell’arte. Alla invocazione della divinità compiuta con una mano sola si contrappone quella con le due mani levate (Sittl, 187, nota 1) πάντες οἱ ἄνϑρωποι ἀνατείνομεν τᾶς χεῖρας εἰς τὸν οὐρανὸν εὐχὰς ποιούμενοι. Questa positura sembra fosse quella più frequente in epoca omerica, essendo usato il termine χείρας ἀναρχεῖν formalmente con il significato di pregare (ad esempio Iliade, vi, 257; Odissea, xx, 97).  Il gesto delle mani giunte davanti al petto, con le palme aperte o incrociate o intrecciate aveva nel Vicino Oriente, a partire dal periodo sumerico in poi, generico significato di preghiera (vedi Treccani Schemata Enciclopedia dell’Arte Antica (1966) di I.Iucker e E.A.A., i, fig. 927; iii, figg. 535 s.; 1365; iv, figg. 1013 s., figg. 1253 ss.). In India sono Mudra dello Yoga antico. In India molte statue di dei Indù e di Buddah hanno le mani giunte in preghiera, posizione conosciuta come “Namaste Mudra”. I Mudra si usano tutt’ora nella meditazione per collegare i chakra minori delle mani e delle dita.  
  28. Sull’uso dell’astrolabio vedi Paolo Trento “L’Astrolabio funzioni, storia costruzione”, Stampa alternativa, 1989  
  29. Vernet J.” The scientific world of the crown of Aragon under James I “Al-Kindi ideas were compiled and taken on by Arnaldo de Vilanova” pag. 105; vedi ancora in “Arnaldo de vilanova y el pensamiento islámico di Santonja P.: “En Montpellier escribió Maestro Arnau sus libros científicos, en los que dominó un galenismo arabizante, y en los que está presente la influencia de los libros de al-Kindi. En este ambiente de Montpellier, donde las especulaciones escatológicas y los movimientos del espiritualismo reformador tenían tanta predicación, se dedicó a descubrir el futuro de la Iglesia a través de una exégesis, muy personal, de algunos textos sagrados. Pag. 45  
  30. Sul rapporto tra astrologia e governanti aragonesi vedi A Kingdom of Stargazers: Astrology and Authority in the late Medieval Crown of Aragon di Michael E. Ryan 2011
  31. La teoria più accreditata sulle origini del nome “alchimia” è quella che la fa derivare dall’arabo. Infatti, “al” è l’articolo determinativo mentre “khem” significa “terra nera”, nome che, in epoca faraonica, indicava anche l’Egitto (la terra nera farebbe riferimento al limo lasciato dal Nilo). Quindi, il significato potrebbe essere “scienza nata in Egitto”. Altri, invece, sono stati colpiti dai vocaboli greci “als” (als) e “cheimeia” (cheimeia), che significano, rispettivamente, sale e fusione. Da qui, l’interpretazione che viene data è “scienza che insegna la fusione del sale” (questa versione è quella favorita da Fulcanelli). Si veda Paolo Cortesi, “Storia e segreti dell’Alchimia”, Newton & Compton 2005, pp. 35-38. Fulcanelli, “Le dimore filosofali”, Edizioni Mediterranee 1973, Vol. I, p. 63. Si segnalano alcune tra le principali opere alchemiche: Alberto Magno, “De alchimia” (XIII sec.); Ruggero Bacone, “Opus maius“ (XIII sec.); George Ripley, “Liber duodecim portarum” (1591); Paracelso, “De Rerum natura” (XVI sec.); Nicolas Flamel, “Sommaire Philosophique”, 1561; Basilio Valentino, “Triumph-Wagen Antimonii (il carro trionfale dell’antimonio)” 1604; Michel Sendivogius: “Novum Lumen Chemicum”, 1604. Scritti Rosa-Crociani: “Fama Fraternitas”, 1611; The Chemycal Wedding ” 1690. Fulcanelli: “Le Mystere Des Cathedrales Et L’Interpretation Esoterique Des Symboles Hermetiques Du Grand Œuvre”, 1925. Per una veloce e sintetica esposizione alchemica consigliamo vivamente: “The Weiser Guide to Alchemy” di Brian Cotnoir, Weiserbooks, 2006. Per un trattato di più alto valore culturale segnaliamo invece “a tradizione ermetica” di Julius Evola, Mediterranee, 1996. Segnaliamo, infine, gli scritti del Gruppo di UR nel prosieguo del testo citati, in particolare gli interventi di Abraxas, Ea, Luce, Negri, etc.. In KRUR 1929, Tilopa, a pag. 154 e ss. Evola anticipò i temi del suo testo sopraccitato. Il testo è oggi ricompreso nel terzo volume di Introduzione alla Magia (titolo discutibile) delle Edizioni Mediterranee.  
  32. “Epistola de reprobacione nigromantice ficcionis (de improbatione maleficiorum)”, a cura di S. Giralt, AVOMO, VIII Barcellona 2004, p.302, redatta “contra curiositatem eorum qui aliter quam virtute divinitus per gratiam immediatam concessa garriunt asserendo se habere potenteciam demones compellendi”  
  33. Il medico Arnau de Vilanova viene richiamato per il suo sigillo del Leone famoso in epoca medievale per avere curato il Papa Bonifacio VIII.  
  34. Guigonis de Caulhiaco, Inventarium sive chirurgia magna, a cura di M. Mc Vaugh, M.S. Ogden, Brill, Leida, 1997, vol. I, p. 380.
  35. P.Negri Il linguaggio segreto dei Fedeli d’Amore, UR 1928, pag. 76  
  36. “Uno dei simboli comuni al cristianesimo e alla massoneria è il triangolo nel quale è inscritto il Tetragramma ebraico [Nella massoneria, questo triangolo è spesso designato con il nome di delta, perché la lettera greca così chiamata ha effettivamente una forma triangolare; ma non pensiamo che si debba vedere in questo accostamento una qualsivoglia indicazione circa le origini del simbolismo in questione; è evidente d’altronde che il significato di quest’ultimo è essenzialmente ternario, mentre il delta greco, malgrado la sua forma, corrisponde a 4 nell’ordine alfabetico e per valore numerico], o qualche volta semplicemente uno “iod”, prima lettera del Tetragramma, che in questo caso può esserne considerato un’abbreviazione [In ebraico, il tetragramma è talvolta rappresentato in forma abbreviata anche da tre “iod”, che hanno una palese relazione con il triangolo stesso; quando sono disposti a triangolo, essi corrispondono chiaramente ai tre punti del “compagnonnage” e della massoneria], e che d’altronde, in virtù del suo significato principiale [Lo “iod” è considerato l’elemento primo a partire dal quale sono formate tutte le lettere dell’alfabeto ebraico], è esso stesso un nome divino, anzi il primo di tutti secondo certe tradizioni [Si veda in proposito «La Grande Triade», cap. XXV]. Talvolta lo “iod” stesso è sostituito da un occhio, che viene generalmente designato come l’«Occhio che vede tutto» (The All-Seeing Eye); la somiglianza di forma fra lo “iod” e l’occhio può effettivamente prestarsi a un’assimilazione, che del resto ha numerosi significati sui quali, senza pretendere di svilupparli qui interamente, può essere interessante fornire almeno alcune indicazioni.” (Tratto da Renè Guenon, Simboli della scienza sacra, 72, Symboles fondamentaux de la Science sacrée Traduzione di Francesco Zambon seconda edizione: aprile 1978 1962 editions Gallimard – Paris 1975 Adelphi edizioni s.p.a. – Milano)  
  37. “Allocutio super significatione nominis “Thetragrammaton, vedi J. Carreras i Artau, ‘La Allocutio super Tetragrammaton de Arnaldo de Vilanova’, Sefarad, 9 (1949), 75–105  
  38. Vedi il testo “Francesco d’Assisi” di Jacques Le Goff su una lettura critica del vero Francesco, Laterza 2000  
  39. Cfr. J. Perarnau, ‘Problemes i criteris d’autenticitat d’obres espirituals atribuïdes a Arnau de Vilanova’, in ATIEAV, i. 29–31
  40. Paul Devins “Il Mistero dell’Argimusco” 2010 ISBN 978-1-4466-4343-3  
  41. O’Connor, John J, Robertson, Edmund F., “Abu Mahmud Hamid ibn al -Khidr al-Khujandi, MacTutor History of Mathematics University of St. Andrews  
  42. Tekeli Sevim (1960),’Nasiruddin, Takiyuddin ve Tycho Brahe’nin Rasat Aletlerinin mukayesesi’. Ankara Universitesi, Dil ve Tarih-Cografya, p.4 citato da O’Connor, John J, Robertson, Edmund F. op.cit.
  43. Todaro G. “Montalbano Elicona e i megaliti dʼArgimosco” 1994 
  44. Devins P. “Il mistero dell’Argimusco”, ISBN 9781446784843, 2010
  45. Devins P. “La Scoperta dell’Argimusco”, ISBN  9781446604380, 2011 
  46. “quando autem Medicus praticans non potest semper habere certa loca planetarum ut omnia particularia, tunc hoc consideret in Luna maiori efficacia”, da De Astrologia in Arnaldi Villanovani Opera Omnia, col 2053-2072, ici col. 2070. Nella stessa opera Arnau si dilungava sul tema della melotesia, di cui meglio parleremo in prosieguo, ragionando sul collegamento tra le costellazioni e le parti del corpo (l’Ariete che governa la testa, il Toro il collo, etc.). Weill-Parot in Les images astrologiques au moyen age et a la Reinassance, Paris, Champion 2002, pag. 474 e 476 dice che dai greci in poi la luna è l’astro preferito dagli astrologi: “tout aux yeux des anciens était comme suspendu aux phases de la Lune et suivait le rythme de sa marche”. Per riferimenti all’utilizzo alchemico della luna (lunastizi) vedi pag. 100/101 in Augusto Pancaldi, Alchimia pratica, Brancato, 1991 
  47. Vedasi ancora Joost-Gaugier C. “Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull’arte”, 2008 pag. 158 e ss. “La majoria estaven dedicats al més difòs, l’astrolabi, una mena de calculadora portàtil que servia per mesurar l’altura dels astres i resoldre aixì tot de problemes d’astronomia esfèrica. En català circularen diversos textos sobre l’astrolabi, alguns d’anònims o amb una atribuciò falsa a Ptolomeu (…)”, cfr. “L’astronomia i l’astrologia en català a finals de l’Etat Mitjana” Lluis Cifuentes i Comamala, in A. Amengual, G.X. Pons, J. March, Eds Conferéncies de les Jornades de Commemoraciò i estudi de l’eclipsi total de sol a la Mallorca de 1905, Mon soc, Hist. Nat. Balears. Sulle tecniche astrologiche vedi Paolo Alasci, Enciclopedia delle scienze occulte, Brancato 1991, pag. 27 e ss.  
  48. Arnau ha scritto alcuni testi alchemici sul tema della lunga vita (testi controversi) quali il De Vita Philosophorum, il De Conservanda juventute et retardanda senectute, il De vinis, etc.
  49. Devins P. “La Scoperta dell’Argimusco”, ISBN  9781446604380, 2011 
  50. Fosse vero dove sarebbero le altre tombe? Non vi sono altre tombe simili sull’Argimusco

Leave A Comment