Eleonora d’Angiò, la regina francescana finanziatrice dell’Argimusco?

(TRATTO DA ARGIMUSCO DECODED DI PAUL DEVINS E ALESSANDRO MUSCO, 2013)

 

Per tracciare i tratti più salienti della vita di questa grande regina ci riferiamo principalmente al Kiesewetter. Per tutte le considerazioni sul personaggio e sul suo rapporto con la politica del tempo rimandiamo al pregevole studio di Francesco Costa qui citato in nota.

Eleonora d’Angiò, nacque a Napoli nel 1289, ottogenita (e terza figlia femmina) di Carlo II d’Angiò, re di Sicilia, e di Maria d’Ungheria1.Come lei, fervente francescana, sua figlia, Caterina, e le sue nipoti, Costanza e Bianca, figlie di suo figlio Pietro II, si rinchiusero nel monastero delle Clarisse di Messina. La figlia ne divenne l’abbadessa. Vale la pena dire che lo zio di Eleonora era S. Luigi IX re di Francia e patrono dei Terziari francescani, un’altra zia era la principessa Margherita d’Ungheria, mistica francescana notissima all’epoca, e il fratello di Eleonora era S. Ludovico vescovo di Tolosa anch’egli totalmente preso da Francesco. La fortissima fede religiosa associata alla pratica francescana della povertà e della penitenza accompagnò per tutta la vita Eleonora. Per sua stessa disposizione ella volle essere seppellita in una chiesa da lei dedicata a san Francesco a Catania, S.Francesco all’Immacolata. In tutta la vita si prodigò in opera di beneficenza e donazioni a favore dell’ordine francescano,per tutti e tre gli ordini in cui era costituito.

Dal 1319 risultava operante a Messina una comunità di terziari francescani che nel 1291 avevano eretto e tutt’ora gestiva un fanale per far luce alle navi in transito sullo stretto e per assistere i naviganti scampati a naufragi.

Il papa Clemente V aveva concesso ad Eleonora e a Federico la grazia di potere entrare nel monastero delle Clarisse a Messina, per andare a trovare la propria figlia oltre che le nipoti, purchè non si fermassero a mangiare. I francescani del primo ordine furono i preferiti della regina. Nel 1318 Eleonora nominava suo cappellano ed elemosiniere il Minorita fr. Eleazaro 2.Come ad un altro minorita Giovanni Campolo da Messina la stessa diede l’incarico di tradurre in volgare i Dialoghi di Gregorio Magno, di cui gli aveva segnalato la necessità della traduzione proprio Arnau de Vilanova3.

Una particolare attenzione è stata posta da Federico ed Eleonora al monastero delle Clarisse di Messina. Esso era stato fondato dalla madre di Federico, Costanza d’Aragona. Nel 1310 Federico chiese al Papa l’assistenza religiosa dei frati minori per lo stesso monastero. Clemente V accettò chiedendo al ministro provinciale di mettere il monastero sotto la sua guida. Nel 1322 il papa Giovanni XXII confermava i privilegi elargiti dagli altri Papi al monastero, su specifica richiesta di Eleonora. Come detto Eleonora si battè in prima persona anche al fine dell’erezione della Chiesa dedicata a Francesco all’Immacolata a Catania. RImandiamo all’attenta narrazione del Costa per i dettagli sulla vicenda, oltre che per i rapporti tra Eleonora e gli spirituali francescani, tra i quali ricordiamo, rientrava il suo maestro Arnau de Vilanova 4.

Nulla si sa dei primi anni di vita di Eleonora, che presumibilmente trascorse nei castelli regi di Napoli. La prima concreta informazione è del 1300, quando Bonifacio VIII scioglie la promessa di matrimonio contratta con Philippe de Toucy. In una lettera del 27 febbraio del 1300 Filippo Minutolo, arcivescovo di Napoli, venne incaricato dal Papa di indagare al riguardo. Si appurò che la principessa, all’età di dieci anni, aveva formulato una promessa di matrimonio di fronte a Bartolomeo da Capua e al camerlengo Jean de Montfort. Il pontefice ordinò di sciogliere immediatamente Eleonora da questa promessa.

Ai primi del 1302 si parlò di un matrimonio di Eleonora con Sancio, secondogenito del re Giacomo I di Maiorca, un progetto che non andò in porto.


La pace di Caltabellotta, stipulata il 29 agosto 1302 dopo il non buon esito della campagna di Carlo di Valois e Roberto, duca di Calabria, contro la Sicilia, stabili che, per sigillare la pace, Eleonora sarebbe andata in sposa a Federico III (II) d’Aragona, dal 1296 re dell’isola di Sicilia. Questi sarebbe stato riconosciuto re vita natural durante col solo titolo di re di Trinacria. La partenza di Eleonora per la Sicilia, ritardò sino alla primavera del 1303, perché le precoci mareggiate invernali avevano distrutto la flotta allestita per il viaggio. Il 25 marzo 1303 Eleonora parti alla volta di Reggio, dove giunse il 13 maggio. Il suo seguito era composto dal fratello Giovanni, futuro conte di Gravina, da Pietro Ruffo, conte di Catanzaro, da Ruggero Sangineto, conte di Corigliano, dal vescovo Giovanni di Ravello e da tutta la corte angioina. La futura regina di Sicilia aveva per dote una grande quantità di gioielli. All’arrivo Eleonora fu accolta con entusiasmo a Messina, dove era stato costruito un nuovo molo in suo onore. Fino alle nozze soggiornò nell’ospedale gerosolimitano di Messina.

Il 26 maggio 1303, giorno di Pentecoste, Eleonora, sontuosamente vestita, fu condotta alla cattedrale di Messina, dove l’arcivescovo celebrò le nozze 5.I festeggiamenti si susseguirono per due giorni, al termine dei quali il seguito di Eleonora fece ritorno a Napoli, per espresso ordine di Carlo II. Federico ed Eleonora partirono per Palermo. Le fonti tacciono sui primi anni di matrimonio. Probabilmente Eleonora accompagnava il re nei suoi viaggi per l’isola.

Nel 1304 nacque la primogenita, Costanza, futura regina di Cipro e d’Armenia. Il 14 luglio 1305, invece, vide la luce a Palermo il primo figlio maschio, che in onore del nonno paterno fu battezzato Pietro (il futuro Pietro II).

Il 28 agosto 1305, il momento che abbiamo visto è stato la chiave per la nascita del sito di Argimusco: in segno di festa per la nascita dell’erede al trono, Federico diede a Eleonora, in appannaggio e patrimonio, il castello e la terra di Avola, con la relativa giurisdizione civile e penale.

Questa donazione rappresenta una pietra miliare nella storia costituzionale siciliana, in quanto costitui il rimo nucleo della Camera delle regine di Sicilia che durò poi fino al 15376.

Negli anni successivi Eleonora ricevette in appannaggio dal suo consorte anche le città di Siracusa (1314), Lentini, Mineo, Vizzini, Paternò, Castiglione, Francavilla e i casali della Val di Stefano di Briga. Per queste donazioni essa dovette rendere omaggio e prestare servizio feudale al re Federico.

Eleonora esercitò direttamente poteri di amministrazione della Camera, esercitando poteri sovrani sulle sue terre.

Il 28 maggio 1308 nominò, con un diploma emanato a Palermo, un capitano e vicario per i suoi possedimenti di Avola, Calcerando de Vergnea, delegandogli esplicitamente la giurisdizione penale. Fu costui secondo noi a predisporre il trasferimento delle risorse ad Arnau, risorse poi utilizzate per la realizzazione dell’Argimusco.

Con quelle risorse Eleonora voleva ricompensare Arnau per le attenzioni date, anche con i libri già citati 7, al consorte e al regno nonché per le raccomandazioni di morale evangelica date alla stessa Eleonora.

Ricordiamo che nello stesso anno, 1310, Arnau aveva da poco finito, a Montalbano, la Informaciò espiritual al Rei Frederic de Sicilia. Come già visto, in esso Arnau si rivolge alla regina Eleonora raccomandandole di non avere letture mondane, di organizzare gruppi religiosi e di essere un esempio di santità per i suoi sudditi.


In cambio la regina gli regalò il tabernacolo di legno 8 e costruì, per lui, le Chiese di Spirito Santo e di Santa Caterina d’Alessandria, quest’ultima poi ridedicata nel 1344 alla patrona degli alchimisti, quale corrispettivo della direzione e concessione lavori per una grande opera (Magnum Opus). Il fine doveva essere, lo abbiamo già ipotizzato, il progetto di Arnau di realizzare sul sito di “Argimustus” una sorta di grande talismano di pietra al fine della medicina astrale per la cura del corpo del re e per la salute della famiglia reale nei tempi nefasti della imminente apocalisse. Il progetto di Arnau, ipotizziamo, che possa essere stato appoggiato con entusiasmo da Eleonora anche grazie all’influsso esercitato su di lei dalla passione alchemica di suo fratello Roberto re di Napoli, con cui, peraltro, Arnau era in rapporto epistolare e diplomatico 9. Tanto Eleonora lo appoggiò che mise a disposizione il patrimonio della Camera Reginale siracusana, rectius la presunta accondiscenza di quelle genti al pagamento del “donativo forzoso”, al fine di garantire la segretezza dell’opera. Non è un caso, come visto sopra, che i rimaneggiamenti e la ridedicazione a S. Caterina della omonima Chiesa siano stati effettuati un anno dopo la morte della Regina. Tale era il legame di affetto che legava la discepola Eleonora con Arnau che, lei viva, il nipote non avrebbe mai potuto effettuare le modifiche che oggi vediamo.

Nell’amministrazione della Camera Eleonora mostrò grandi doti di equilibrio e saggezza.

Nell’amministrazione della Camera Eleonora mostrò grandi doti di equilibrio e saggezza. Altrettanta saggezza dimostrò nel discreto consiglio e influenza politica sul regale marito.

Ricordiamo che nell’ottobre 1309, nei Capitoli di Piazza, il re promulgò una legge che prevedeva, tra le altre cose, l’apertura di scuole per maschi e femmine. Nel Rinascimento l’istruzione femminile veniva ancora considerata un inutile perdita di tempo e tutt’ora 58 milioni di bambine nel mondo non hanno accesso all’istruzione, per non dire, poi, degli stati confessionali talebani di oggi.

Nei successivi 48 capitoli stabilì anche il valore giuridico della deposizione delle donne nella compravendita di immobili, una specie di rivoluzione nel campo dei diritti civili e della non discrimazione sessuale antesignana delle legislazioni del 1900. I capitoli sono stati, evidentemente, influenzati dall’insegnamento di Arnau a corte nonchè dal carattere di Eleonora d’Angiò.

Nel 1323 un commerciante di nome Antonio Maniscalea si rivolse alla regina per chiedere una riduzione del dazio: aveva dovuto pagare 65 once di dazio per l’esportazione di gallette attraverso il porto di Siracusa, ma durante il trasporto la merce era stata danneggiata. Con un diploma del 28 luglio 1323 Eleonora dispose una verifica dei danni, concedendo al Maniscalea, qualora avesse dichiarato il vero, una riduzione di 1 oncia e 15 tari su un terzo della merce perduta.

Nel 1324 Eleonora ricevette le lagnanze della città di Siracusa sulla validità dell’elezione di Perillo Arezzo a konsul maris e di Rogerio Aprile a iudex. D’intesa con Federico III, Eleonora confermò le nomine. Dispose tuttavia che le elezioni e le estrazioni a sorte per la nomina a cariche cittadine avvenissero alla presenza di un commissario regio. Questi immediatamente dopo, avrebbe dovuto recarsi personalmente dalla regina a prestare giuramento sul Vangelo e ricevere nelle proprie mani i documenti regi di conferma degli eletti.

Tutti questi esempi indicano la tendenza, da parte di Eleonora, a gestire direttamente l’amministrazione dei suoi possedimenti.

Tuttavia Federico preservava attentamente i suoi diritti, soprattutto per quanto riguardava l’importante città di Siracusa; solo col suo consenso, nel 1335, Eleonora poté nominare Niccolò Grillo castellano di Siracusa 10.

Dopo la ripresa della guerra tra Roberto d’Angiò e Federico III, nel 1312, Eleonora iniziò a svolgere un ruolo importante anche in politica estera quale mediatrice tra la monarchia angioina e quella aragonese.

Nel giugno del 1312 suo cognato Giacomo II, re d’Aragona, inviò ad Eleonora, una lettera in cui la pregava di dissuadere Federico dall’allearsi con l’imperatore Arrigo VII, poiché una simile decisione avrebbe potuto provocare una frattura con la Chiesa e ostacolare l’occupazione aragonese della Sardegna. Il tentativo di mediazione fallì.

Allo scoppio del conflitto tra Federico III e la Chiesa, fu il Papa a prendere l’iniziativa, chiedendo a Eleonora, in una lettera del 1º agosto 1314, che essa cercasse di indurre Federico a riconciliarsi con suo fratello Roberto.

Anche questa mediazione fallì.

Nel frattempo Eleonora aveva dato alla luce un altro figlio maschio, Manfredi, in onore del suo antenato svevo, che però mori quasi subito. Nacque poi Guglielmo, futuro conte di Randazzo. All’inizio dell’estate del 1317 si aggiunse un altro figlio maschio: Giovanni, futuro duca d’Atene e di Neopatria. Infine, l’8 maggio 1318 nacque a Mazara del Vallo un quinto bambino, che fu battezzato Ruggero, a richiamo della tradizione normanna; anch’egli, tuttavia, morì presto. Federico ed Eleonora ebbero anche tre figlie femmine, oltre alla già citata Costanza: Margherita, deceduta in tenera età; Isabella, futura consorte di Stefano, il secondogenito di Ludovico il Bavaro; Caterina, che entrò nel convento di S. Chiara a Messina e ne divenne l’abbadessa.

Nel 1319 Eleonora ebbe contatti con il Papa Giovanni XXII.

Il 10 e l’11 novembre, con varie lettere, in deroga all’interdetto comminato a tutta la Sicilia il Papa accordò il permesso di assistere alle funzioni religiose, di scegliere liberamente il proprio confessore, di ricevere l’estrema unzione e infine – a cagione della sua debolezza fisica – di mangiare carne, dopo l’imbrunire, nei giorni di digiuno. Queste scarse notizie giustificano l’ipotesi che Eleonora all’epoca soffrisse di qualche malattia.

Il 19 apr. 1322, a Palermo, presenziò all’incoronazione di suo figlio Pietro, associato da Federico al trono di Sicilia. Nel 1325, in occasione dell’attacco sferrato contro la Sicilia da suo nipote, Carlo di Calabria, che saccheggiò e incendiò il circondario di Messina, Eleonora intraprese un nuovo tentativo di mediazione, ma anche stavolta senza risultati: Carlo di Calabria, influenzato dal padre, si rifiutò di riceverla. Nel 1329 papa Giovanni XXII prese l’iniziativa di fare trattare ad Eleonora la pace con Federico. Anche questo tentativo rimase senza esito.

Nel 1332 Eleonora cercò di mediare sul conflitto tra Federico III e Giovanni Chiaramonte il Giovane, tornato da poco in Sicilia dopo essere stato al servizio di Ludovico il Bavaro. Ma neanche stavolta la fortuna le arrise: in una scaramuccia Giovanni feri gravemente Francesco Ventimiglia, suo nemico personale e fiduciario di Federico. Giovanni Chiaramonte, da sempre suo protetto,fu messo al bando da Federico.

Eleonora convinse Giovanni a lasciare la Sicilia al più presto, per non essere condannato a morte come traditore. Nello stesso tempo gli inviò dei messaggi assicurandogli che sarebbe rientrato presto.

Nel 1333 l’ultimo tentativo di pace tra Federico III e il pontefice.

Nella primavera dello stesso anno essa aveva inviato una legazione al papa, che fu accolta onorevolmente, per come Giovanni XXII le assicurava per lettera. L’8 settembre il pontefice le scriveva di nuovo, spiegandole di non volere trattative dirette con lo scomunicato Federico, ma invitando Eleonora a ricondurre il consorte sulla retta via e a fare tutto il possibile per consentire il suo rientro in grembo alla Chiesa e salvare la sua anima dalla dannazione. In cambio, il pontefice prometteva a Federico onori e favori. Questi tentativi rimasero anch’essi infruttuosi.

Lo stesso Kiesewetter osserva che Eleonora, in quanto madre di principi aragonesi, tendeva a difendere le posizioni aragonesi anziché quelle angioine.

Il 25 giugno Federico III mori presso Paternò, presente Eleonora.

Lei provvide a far portare la salma a Catania ove Federico fu sepolto nel duomo catanese. Il caldo estivo impediva il trasporto fino a Palermo. Il testamento nominava Eleonora esecutrice insieme col vescovo di Siracusa, con Francesco Ventimiglia, conte di Gerace, con Raimondo Peralta, gran cancelliere del Regno, e col maestro giustiziere Blasco Alagona.

Dopo la morte di Federico Eleonora acquisì maggiore influenza sulla politica siciliana, giacchè Pietro II non aveva alcun interesse per gli affari di governo. Riusci ad imporre il ritorno del suo protetto, Giovanni Chiaramonte. Egli era al servizio del nemico angioino. Ciò nonostante la magna curia, convocata a Nicosia, lo riabilitò e un diploma di Pietro II del 30 dic. 1337 gli restitui quasi tutto il suo patrimonio.

Elisabetta di Carinzia, consorte di Pietro II, consapevole della debolezza del marito Pietro, cercò di spianare alla famiglia dei Palizzi, da lei favorita, la strada verso le cariche più elevate. Elisabetta riusci a prevalere sulla madre di Pietro, Eleonora: i Palizzi divennero i più stretti confidenti di Pietro e occuparono le posizioni chiave di gran cancelliere e maestro razionale.

Riesplose l’antico contrasto tra i Chiaramonte e i Ventimiglia. Nel 1338 il castellano di Lentini, Ruggero Passaneto, fu accusato di voler rilasciare, dietro riscatto, Francesco (II) Ventimiglia, che era stato affidato alla sua sorveglianza.

Eleonora in persona si recò immediatamente a Lentini cercando di mediare, ma il Passaneto rifiutò di accoglierla nella roccaforte, suo possesso della Camera reginale. Il Passaneto cercò addirittura di cedere la roccaforte agli Angioini.

La crisi fu risolta solo dall’intervento di Blasco Alagona, che intavolò trattative col castellano di Lentini.

Nel 1340 Eleonora cercò di giungere a un accordo con il papa Benedetto XII, successo a Giovanni XXII. Inviò il catanese Guido di Santa e Matteo di Marsala alla corte aragonese nella speranza che Pietro IV facesse da mediatore tra Pietro II e il pontefice. Benedetto XII respinse bruscamente la manovra e dichiarò Roberto d’Angiò legittimo re di Sicilia, esortandolo alla guerra contro Pietro.

Il figlio di Eleonora, il re Pietro II, morì improvvisamente il 15 agosto 1342, a Calascibetta (EN), e fu sepolto nella Cattedrale di Palermo

Il nipote di Eleonora, Ludovico, divenne a soli sette anni Re di Sicilia, sotto la duplice reggenza dello zio, il duca di Randazzo, Giovanni d’Aragona, e della madre, Elisabetta, reggenza che provocò tensione ed instabilità nel Regno. Ludovico risiedette fino al 1347 a Randazzo. E’ probabile che la decisione della trasformazione della chiesa di Santa Caterina venne presa, dunque, da Elisabetta di Caringia, nel frattempo (1344), residente a Randazzo.

Eleonora d’Angiò trascorse gli ultimi anni della sua vita indossando per devozione l’abito delle clarisse e vivendo in solitudine e raccoglimento. Il Cagliola11 specificava, in proposito, che non fu mai clarissa ma terziaria clarissa causa la inosservanza della clausura. Essa vestiva l’abito per devozione ma senza professare la Regola

12. Visse in una piccola villa, costituita da alcune case terrane da lei fatte costruire con giardino e una grande cisterna, alle falde dell’Etna nel villaggio Guardia dell’antica Malpasso. Singolarmente le case ove visse si trovavano esattamente sulla ideale diagonale nord-sud che parte dal castello di Montalbano, ove Ella aveva vissuto i momenti forse più belli della sua giovinezza.

La grande cisterna del villaggio Guardia era stata fatta costruire dalla regina a beneficio dei contadini del luogo per irrigare le campagne 13. La lava ha coperto gran parte di quelle case terrane, salvando solo un vano delle stesse e un elegante “…terrazzina dalla pianta quadrangolare, le cui pareti su tre lati sono arricchite da una serie di sedili in muratura rivestiti da mattonelle in terracotta e formanti come delle spalliere...”, per come scriveva lo scopritore V. Bruno 14..

Dalla villa si recava spesso presso i monaci benedettini dell’attiguo monastero di San Nicola l’Arena per conversare o prendere parte ad esercizi di penitenza. Nel casale La Guardia morì all’età di 58 anni il 9 agosto 1343. Per sua disposizione Eleonora venne seppellita nella chiesa di san Francesco all’Immacolata a Catania, da lei fatta erigere sopra il tempio romano dedicato alla dea Minerva 15.

L’Argimusco, abbiamo scritto, è una delle tante opere incomplete esistenti in Italia, forse la prima. La improvvisa morte di Arnau non consentì di finire il magnum opus. Si perse il senso dell’opera e l’intero progetto scese nella tomba con lui.

Finì anche il periodo regio di Montalbano, si estinsero le memorie dei testimoni e, in luogo delle armi e delle magie alchemiche dei suoi signori aragonesi, tornò a risuonare lo scampanio degli armenti al pascolo.

Ciò nonostante quello che rimane impressiona anche il visitatore più sprovveduto.

Non si può non restare affascinati dalla bellezza surreale della grande Vergine in preghiera, secondo il canone cristiano16, imponente, avvolta dalle luci del tramonto, nel silenzio secolare delle grandi pietre che la circondano.

La mancata conclusione del progetto lascia sopravvivere ancora un’immagine della grande regina Eleonora, donna grande nelle opere di fede, nella politica di stato 17 e nella carità, premiata con una enome statua posta in uno dei siti più affascinanti del pianeta.

UNA REGINA A MALOPASSO?!?

Nel comune di Belpasso, l’antica Malpasso, insiste una piazza intitolata “Stella Aragona”. Il nome sta a ricordare l’antico nome della contrada Guardia di Malpasso, appunto, Stella Aragona 18. Come mai questo inusuale nome per una contrada di un paesino medievale siciliano?

Durante le celebrazioni della festa dedicata a Sant’Anna, cui è dedicata una piccola chiesetta seicentesca sita nello stesso quartiere, ancora 19 oggi in ogni balcone viene esposto uno stendardo a due colori, una fascia verticale a sinistra colore giallo chiaro, una fascia a destra colore blu. Nella fascia a destra sono in grande evidenza due lettere: una S ed una A.

Starebbero per le iniziali di Sant’Anna o sono il corrispondente delle iniziali di Stella Aragona?

Un indizio che sposta l’interpretazione di S e A da Sant’Anna a Stella Aragona è, appunto, l’uso dei due colori giallo e blu. Come noto, numerosi gigli gialli su sfondo blu costituivano la bandiera della casata angioina 20.

La presenza delle due iniziali S ed A su sfondo giallo e blu fanno pensare all’unica possibile “stella aragonese” in qualche modo connessa a quella zona etnea: una regina. L’angioina Eleonora, era diventata, per motivi diplomatici e poi familiari, una regina aragonese: Eleonora aveva poi vissuto per sei anni in quella borgata. Della sua passione per le stelle e le costellazioni, poi, già abbiamo detto con riferimento al finanziamento con la sua Camera Reginale del mega talismano stellare di Argimusco. Da qui, forse, il nome di “Stella d’Aragona” su sfondo colore angioino 21.

Secondo noi, la bandiera potrebbe essere il lontano ricordo di un preciso momento storico e di un fenomeno di sincretismo politico in equilibrio tra due diverse casate, una parte rivendicante i diritti del regno e l’altra temporaneamente titolare di quei diritti, in forza della pace di Caltabellotta.

La S e la A, insomma, potrebbero essere traccia del passaggio di una regina la cui pietas religiosa, fu tanto apprezzata dalle genti del luogo da farla quasi elevare all’onore degli altari. Ricordiamoci che la regina fece costruire la Cisterna omonima per scopi irrigui agricoli a beneficio dei contadini proprio della contrada di Guardia.

Altra traccia della presenza di Eleonora potrebbe essere, secondo noi, il culto di Santa Lucia, ancora oggi santa patrona di Belpasso. Si sono perse le motivazioni del culto alla santa siracusana nel paese etneo. La cosa certa è che il culto veniva esercitato in monastero di monaci carmelitani nell’antica Malpasso già nel 1500. Pare che il culto fosse comunque più antico.

Noi abbiamo motivo di ritenere che non può essere una coincidenza che il paese che ha ospitato per sei anni una regina, la cui Camera Reginale aveva sede a Siracusa, abbia scelto quale santa patrona la santa di Siracusa. Come non lo è che il quartiere ove ella abitò si chiamava Stella Aragona. Dunque, il culto della Santa era stato probabilmente portato nel paesino etneo da qualche chierico o prete della chiesa Siracusana o da ufficiali della Camera Reginale che da Siracusa si recavano a Malpasso in visita alla Regina che, non dimentichiamolo, esercitava compiti di amministrazione e giuridizione di tipo reale sul loro territorio.

Chiediamoci ora per quale motivo una Regina, figlia del Re di Napoli e Sicilia e della figlia del Re d’Ungheria, non scelse di abitare nei tanti palazzi reali sparsi per il territorio siciliano in città più grandi e sicure, ma scelse di andare ad abitare gli ultimi anni della propria vita in solitudine, in un luogo pericoloso dal nome Malpasso (Malopasso), ovvero passo cattivo, di briganti (nomen est omen)?

Malpasso si trovava nel territorio di Paternò e il 25 giugno del 1337 ivi, in Paternò, morì Federico III d’Aragona. 22

E lì vicino poco dopo si trasferì Eleonora abbandonando la corte Messinese e quella estiva di Montalbano.

Perchè la regina Eleonora d’Angiò scelse di costruirsi modeste casette terranee in quella remota contrada Etnea preferendola ad una delle tante sedi reali che avevano ospitato lei e suo marito nei continui spostamenti lungo il regno23?

Perchè la regina scelse di abitare relativamente lontano dalla Cattedrale di Catania ove era sepolto il marito Federico? A cavallo, con una buona andatura, vista l’età di Eleonora non più giovanissima, sarebbero occorsi per più di 20 km di distanza non meno di tre ore. In carozza sarebbe stata necessaria una mezza giornata buona di viaggio.

E, ancora, se intendeva dimorare accanto al monastero benedettino di San Nicola l’Arena, ove ella si dice andava a conversare, perchè scelse un luogo poco vicino, 3,5 chilometri in linea d’aria, ove realizzare quelle case? Era opportuna questa distanza per una regina di età maggiore di cinquant’anni?

Non crediamo, se vogliamo essere seri, che la collocazione geografica del luogo sulla diagonale nord sud che parte dal castello di Montalbano abbia potuto avere una qualche influenza sulla scelta.

Vi erano, dunque, altri motivi?

Sì, vi erano, secondo noi, alcuni motivi che giustificavano tale scelta.

Uno, ma non il principale, era il fatto che il luogo era sito vicino a molti importanti monasteri della Sicilia medievale: quello di San Leone in Pannachio a 1000 circa sull’Etna, quello di San Nicola l’Arena poco più giù vicino all’attuale Nicolosi, i cenobi dipendenti dai monasteri di Terrasanta di Santa Maria in Valle di Iosaphat e di S. Marco a valle presso Paternò e, infine, il monastero di Santa Maria di Licodia. Tutti questi monasteri erano connessi ad un importante via di comunicazione «quae venit a Messana in Adernionem», che arrivava da Messina e proseguiva per Adrano passando in alto sull’Etna vicino al monastero di San Leone.

Eleonora, abbandonata la provincia di Messina, ove conservava affetti familiari e ricordi, decise, dunque, di percorrere quell’arteria stradale per andare a vivere il resto della sua vita vicino a tanti cenobi.

L’altro motivo, secondo noi principale, era legato alla fortissima fascinazione che esercitava nei circoli francescani dell’epoca e su Eleonora, in particolare, l’esperienza ascetica e mistica della principessa francescana Margherita d’Ungheria. Cosa avesse di speciale Margherita è presto detto.

In primis, era zia di Eleonora per parte di madre; in secundis, ebbe un’apparizione mariana che fece gran scalpore nell’Europa francescana tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. E dunque?

Il punto è che poco vicino a quelle casette cento anni prima era avvenuta un’altra apparizione della Madonna, oggi dimenticata a beneficio di quelle recenti avvenute ancora lì vicino negli anni tra il 1986 e il 1988.

Ma andiamo con ordine.

Alcuni documenti di epoca normanna, un atto di donazione in particolare, sottoscritto in favore della chiesa diS. Leone de Pannachio, parlano della sopraccitata via montana per la quale da Messina si giungeva in Adernò 24.

Per “Pannachio”, sembra debba intendersi uno dei conetti avventizzi dell’Etna, oggi Monte S.Leo, nei cui pressi sorgeva la chiesa di S. Leone e l’annesso monastero.

Secondo il White la prima colonizzazione benedettina dell’area meridionale dell’Etna fu senza dubbio la prioria diS. Leone de Pannachio 25. La piccola chiesa era un piccolo edificio sacro fondato sotto i bizantini e dedicato al santo vescovo di Catania, vissuto nella seconda metà del secolo VIII. Essa era stata costruita per assolvere, oltre alle funzioni di natura religiosa, anche a luogo di ricovero e punto di riferimento per i viandanti che transitavano per la vicina via montana, la quale, ripetiamo, metteva in collegamento questi territori con la città di Messina 26.

Giovanni d’Amalfi – monaco dell’abbazia catanese – ricevette dal Conte Enrico di Policastro e Signore di Paternò, nel 1137, la piccola chiesa dismessa di S. Leone, insieme ad alcuni possedimenti nei pressi di Rachalena (Ragalna) 27. Come bene osserva il Mursia, con la citata oblazione il Conte Enrico si assicurò “un controllo diretto sulla vicina e importante via di comunicazione «quae venit a Messana in Adernionem». Alla prioria di S. Leone nel 1156 Enrico assegnò poi la piccola chiesa, di fondazione bizantina, di S. Nicolò de Arena, con funzione di ospedale per i monaci infermi e avente probabilmente funzione, “di punto di riferimento per i viaggiatori, che percorrevano la strada già costeggiante S. Leone, la quale poi procedeva verso il monastero di S. Giovanni di Paparometta di Fleri e ancora alla volta dell’altro monastero di S. Andrea super Mascalas28.

Orbene, la cisterna della nostra regina si ergeva, e ne sono oggi visibili i resti, proprio accanto alla citata strada regia che scendeva dal monastero di San Leone, passando poi dal monastero di San Nicola l’Arena. Ancora oggi, percorrendo quella strada, in alcuni punti dotata di alti muri di pietra a secco, si può verificare come essa, costeggiando il torrente oggi scomparso di Piscitello, collegasse il quartiere Guardia con l’antico abitato di Malpasso.

Dopo avere esaminato l’aspetto logistico dei collegamenti vediamo la ragione più importante che ha determinato, secondo noi, il trasferimento della regina in quei luoghi.

Malpasso fu menzionata per la prima volta in una carta del 1305 attualmente conservata negli Archivi Vaticani in cui è scritto: “Santa Maria del Passo in territorio di Paternò nelle vicinanze di Valcorrente29. Inizialmente il toponimo era dovuto alle caratteristiche della zona: “Passu”designava una zona in cui vi era un frequente passaggio, mentre il prefisso “Malu”, poi aggiunto, indicava o la caratteristica negativa del luogo pericoloso e disagevole (da “Malus”) o, probabilmente, la presenza di alberi di mele (da “Malum”)30.

Nel XIV secolo, sembra fosse molto popolare nel territorio il culto della Madonna, grazie alla presenza di una cappella costruita in ricordo di una apparizione avvenuta nel 123531.

Gli abitanti del luogo veneravano la Madonna della Guardia, ovvero la Madonna che guarda, protegge il passo nel tragitto. E’, dunque, probabile che il culto della Madonna della Guardia sia legato a quella antica apparizione avvenuta lungo la strada regia che passa dal borgo omonimo. Esiste ancora una tradizione orale del fatto che nel XIV secolo fosse preservato un quadro, probabilmente relativo all’apparizione, custodito nella vecchia chiesetta ove la regina Eleonora d’Angiò andava a pregare quando da Paternò 32 si spostava col suo seguito fino alle case terrane di Malpasso.

Abbiamo detto che la fortissima fede religiosa associata alla pratica francescana della povertà e della penitenza aveva accompagnato tutta la vita di Eleonora 33.

Ricordiamo che lo zio di Eleonora era S. Luigi IX re di Francia nonché patrono dei Terziari francescani e il fratello di Eleonora era S. Ludovico, vescovo di Tolosa, anch’egli totalmente preso da Francesco. Ma vi è di più. Una zia di Eleonora d’Angiò, Margherita d’Ungheria, era diventata famosa 34, nell’Europa dei penitenti e riformatori francescani, per la coerenza e rigidità della vita ascetica condotta nonché a causa dei vari miracoli a lei attribuiti prima e dopo la morte. Uno dei fenomeni sovrannaturali riconnessi alla leggenda di Margherita era stata un’apparizione mariana, avvenuta esattamente nell’omonima isola di Margherita a Budapest, già isola delle Lepri, luogo poi dedicato a lei proprio in ricordo di quella famosa apparizione.

In sintesi, poco tempo prima della sua morte, la Vergine le era apparsa in sogno. La Madonna era in piedi su un carro. Si rivolse a Margherita così dicendo: “Io ho esaudito la tua preghiera. Sii forte e fedele, io sarò il tuo sostegno” . Poco tempo dopo arrivò la morte prematura di Margherita ancora solo ventinovenne  35.

Dal suo convento sull’isola sul Danubio si era trovata in sintonia con lo spirito dei movimenti di disciplinati e penitenti, che allora si diffondevano in Europa. Tra essi anche i fraticelli spirituali francescani poi accolti da Federico III su richiesta di Arnau da Vilanova. Dopo la sua morte fu vasta l’eco suscitata dai vari miracoli avvvenuti presso la sua tomba o nel coro del convento (abbandonato e poi distrutto nel XVII secolo).

E’ probabile che da sua madre Maria d’Ungheria36, Eleonora, abbia appreso le prime notizie sulla zia Margherita. L’influenza di Arnau, la forte presenza nonché la protezione data a corte a numerosi fraticelli e spirituali francescani dovrebbe avere poi, verosimilmente, rinforzato la fascinazione di Eleonora per la zia, in effetti, una delle prime grandi personalità, una principessa, a sposare in toto l’ideale ascetico francescano.

Ripensando alla figura della nipote, la devota francescana Eleonora, non è, dunque, azzardato supporre che la zia asceta e mistica, carismatica e taumaturga francescana, possa essere stata un esempio, per lei, da seguire sopratutto nella fase di raccoglimento e preghiera, seguita alla morte del consorte. Un ideale contemplativo che, forse, la vicinanza ai luoghi di un’altra apparizione mariana avrebbe potuto ispirare e agevolare. Verosimilmente, proprio per questo, dunque, Eleonora scelse la contrada Guardia, non di Malopasso ma di Santa Maria del Passo. Eleonora, abbandonati quasi del tutto gli impegni di famiglia e di corte, aveva deciso di imitare la zia fino a vestire l’abito di terziaria clarissa.

Le rappresentazioni simboliche presenti nella statua della Vergine dell’Argimusco, ove Eleonora è ritratta in preghiera e avvolta nella tonaca monacale per come prescritto da Arnau de Vilanova, nonché il mosaico della cattedrale di Messina, ove ancora Eleonora è raffigurata in preghiera

37

, erano sogni di cui lei aveva per anni rimandato l’avveramento.

Alla fine della sua vita la promessa di vita contemplativa potè realizzarsi.

Una volta vestito l’abito delle clarisse, il sito delle apparizioni di Santa Maria del Passo era il luogo più consono ove dedicarsi alla propria personale ascesi e realizzazione, forse, anche nella segreta speranza di potere condividere le visioni celestiali della zia.

Dopo anni di guerre e scomuniche, tragedie del regno e drammi familiari, apocalissi annunciate e non avveratesi, il terrazzino di Santa Maria del Passo, miracolosamente scampato alla lava e oggi circondato da una fitta sterpaglia, era forse il posto ove finalmente Eleonora potè trovare, nel silenzio, la propria serenità.

xxxxxxxxxxxxxxx

In conclusione non può essere un caso che Eleonora venga ancora ricordata nei luoghi ove abitò come una “stella”. Se teniamo a mente la vasta letteratura in materia di medicina astrologica del Maestro Arnau de Vilanova, il forte rapporto di questi con Eleonora e con suo marito presso la cui Corte di Montalbano andò a risiedere per alcuni anni, l’interesse per le stelle comune alla casata della Corona d’Aragona e gli altri indizi sopraccennati, non può essere una coincidenza che si sia chiamata Eleonora “Stella dell’Aragona” e non, ad esempio, “Fiore dell’Aragona”. Il fatto che la regina sia ricordata, nel posto ove andò ad abitare, per una sua connessione con le stelle, è, dunque, indizio di una sua probabile committenza dell’opera dello Specchio delle Stelle.

xxxxxxxxxxxxxxx

Finì il periodo della Corte reale di Montalbano e della sperimentazione alchemico-stellare dello Specchio delle Stelle sul sito demaniale di Argimusco: si estinsero le memorie dei testimoni e tutto venne avvolto da un manto di oblio. L’Inquisizione, pur assente nella Sicilia aragonese, faceva paura sopratutto per le possibili conseguenze in termini politico-militari.

La memoria della Regina Eleonora scomparve anch’essa forse colpita, per via della scomunica di suo marito, da una indiretta damnatio memoriae. Eleonora, regina di Sicilia per ben 41 anni, venne presto dimenticata. Nessuno ricorda più la presenza di quella grande e coraggiosa regina nei luoghi ove ella visse la gran parte della propria vita, ovvero la corte di Messina e il palacium di Montalbano. Il Palacium di Montalbano, anzi, negli ultimi anni è stato sottoposto a vandalici restauri che lo hanno sin’anco privato dei merli ghibellini, ovvero del simbolo e del concetto di monarchia per cui combattè strenuamente tutta la vita il suo più illustre abitante, il marito di Eleonora re Federico III, sempre in guerra per quegli ideali contro gli eserciti angioini e papali. E sappiamo con quale dolore e lacerazione abbia vissuto la Regina Eleonora quelle guerre fatte contro la sua stessa famiglia angioina, contro suo fratello Roberto e contro il Papa. Non è un caso che Eleonora venne spesso utilizzata come mediatrice al fine di ricondurre a più miti consigli il fiero marito, impegnato nella salvaguardia dei valori ghibellini del suo grande nonno, lo svevo Federico II, cui volle, anche con il numero III in linea successoria, richiamarsi come unico modello, per tutta la vita.

Abbiamo visto che anche in altri luoghi della Sicilia si perse memoria della Regina Eleonora.

Nei territori Siracusani ove ella creò la Camera Reginale, un vero esperimento di emancipazione femminile ante litteramnell’ambito della consuetudine monarchica, venne presto dimenticata.

Rimase di lei un ricordo, seppur molto debole, a Catania nella chiesa di San Francesco da lei fatta costruire e che accolse le sue spoglie mortali. Altra memoria, molto flebile, è rintracciabile ad Enna ove ella fece erigere la Cattedrale, di cui ancora si ammirano le absidi in stile gotico-catalano.

Permane, invece, il suo ricordo o meglio forse la sua leggenda, nel paesino etneo di Belpasso, l’antica Malpasso o Santa Maria del Passo, che conserva segnali dei suoi sei anni di residenza.

La lava e il tempo hanno quasi del tutto coperto le sue case terrane, ma non hanno eliminato la traccia del suo passaggio: prova ne è tutt’ora la dedicazione del paese alla santa patrona, Santa Lucia, proveniente da Siracusa sede della Camera della Regina, e il titolo di Stella Aragona rimasto al quartiere ove ella abitò gli ultimi anni di vita, per come testimoniano ancora gli stendardi angioni/aragonesi esposti ancora dalle collettività del quartiere.

Abbiamo detto che Messina ha perso contezza della memoria di quella Regina, pur conservandone l’unico suo ritratto contemporaneo nell’abside sinistra del Duomo.

Una rappresentazione scultorea, impressionante e colossale, è conservata a Montalbano Elicona, nel vecchio sito demaniale montano di Argimustus. Trasposizione cristianizzata di una divinità astrale pagana, Iside come costellazione della Vergine, Eleonora è stata trasformata da Arnaldo da Villanova in una Vergine simbolo dei valori cristiani. Una santa, indossante l’abito francescano delle Clarisse, per come lui le prescrisse e per come ella, alla fine della sua vita, volle fare.

 

LA CHIAVE PER LA SOLUZIONE DELL’ENIGMA: LA TRACCIA DEL DENARO PER LA COMMITTENZA. LE SPESE RISERVATE DI FEDERICO III E UNA DISERZIONE FISCALE

Siamo arrivati sul punto di svelare il mistero. Fermiamoci e ricapitoliamo. Abbiamo detto che la Regina Eleonora d’Angiò è stata a nostro giudizio tra coloro, con lei l’ideatore Magister Arnau de Vilanova e il marito Re Federico III, cui è da imputare la paternità dell’opera, a nostro avviso incompiuta, del sito di statue di pietra dell’Argimusco in Montalbano Elicona. Abbiamo parlato di come la cultura medico astrologica e alchemica di Arnau e della coeva koinè islamico-iberica sia perfettamente coerente con le tecnologie mediche utilizzate sul sito (in particolare, per i salassi a mezzo dell’osservazione stellare fatta con il sestante litico arabo e con le tacche incise sui megaliti e a mezzo della vasca per l’allevamento delle sanguisughe) e con i vari simboli alchemici e templari.

Abbiamo detto della donazione di un tabernacolo di legno fatta dalla Regina Eleonora ad Arnau e della dedicazione dell’ultima opera di Arnaldo, del 1310, l’Informaciò espiritual al Rei Frederic de Sicilia, alla stessa Eleonora. Nell’Informaciò Arnau si rivolgeva alla regina Eleonora raccomandandole di non avere letture mondane e di organizzare gruppi religiosi in stile beghino, beghini che egli aveva raccomandato pressantemente al Re di ospitare e proteggere. Abbiamo detto che tali gruppi vennero, con ogni probabilità, ospitati nelle due chiese montalbanesi di Santa Caterina e di Spirito Santo, costruite nello stesso periodo (1310) in stile romanico-catalano.

Arnaldo, sempre nell’Informaciò, prescrisse ad Eleonora di essere un esempio di santità per i suoi sudditi vestendo tonache di lino per visitare gli ospedali con le sue ancelle in modo da essere scambiate, lei come personificazione della Fede, le sue ancelle della Speranza. Abbiamo detto di come la stessa immagine della suora in tonaca di lino con le mani intrecciate in preghiera (posa vietata nel paganesimo greco-romano) è oggi visibile, oltre che nell’abside sinistra del duomo di Messina, anche nello specchio delle stelledi Argimusco, ove la vergine in preghiera prende il posto della costellazione-vergine del modello iconografico arabo (il Liber locis stellarum fixarumdi Al-Sufi) usato da Arnaldo.

Abbiamo cennato del progetto di Arnau di realizzare sul sito demaniale di “Argimustus”, preferita riserva di caccia con il falcone del Re, una sorta di grande talismano di pietra 38 al fine della medicina astrologica per la salute della famiglia reale in vista delle tribolazioni apocalittiche attese per il 1368 o 1376 39.

Alcuni attenti studiosi, tra essi G.Pantano 40 e G.Tropea 41, hanno medio tempore prodotto altri studi di conferma della tesi sull’origine medievale del sito, pur contrastata da chi si ostina a scambiare per Ciclopi o altri popoli preistorici i committenti e le maestranze impegnate nella lavorazione delle statue.

Rimangono, però, ancora tanti interrogativi. Perchè il sito rimase incompiuto negli anni successivi alla morte di Arnaldo? Come riuscì Eleonora a finanziare l’opera? Abbiamo già detto, che poco prima, nel 1308, Eleonora aveva sostituito il Castellano di Avola, terra in dotazione della sua Camera Reginale, con il fido catalano Calcerando da Vergnea. Costui era delegato anche della giurisdizione criminale nel territorio della Camera Reginale.

Il 26 agosto del 1311, proprio da Montalbano, Federico III comunicava agli ufficiali del Val di Noto di aver incaricato il nobile Enrico Rosso di Messina 42 maestro razionale (una specie di ministro Tesoriere del Regno), di stabilire le assise a Siracusa per corrispondere 400 onze d’oro di “donativo obbligatorio” (exenium). Vedi Marrone in Sovvenzioni regie, riveli, demografia in sicilia dal 1277 al 1398 pag. 26 in Mediterranea – ricerche storiche – Anno IX 2012 pag 51 e G. Agnello, Urbs fidelissima. Il governo di Siracusa durante la Camera reginale (1282-1536), pag. 9. Il documento originale della lettera è quello del BCS LP ovvero Liber Privilegiorum et Diplomatum nobilis et fedelissime Siracusarum urbis, 1, ff. 86 e 70v-71r. Il Marrone nel Repertorio, op.cit., riporta quale documento la stessa lettera del 26 agosto 1311 contenuta al volume I del Liber, ff. 86. In una email inviata dal Marrone agli autori questi spiega che causa un errore si è indicata nel suo Repertorium come fonte un Liber presuntivamente conservato presso la Biblioteca Alagoniana di Siracusa. Il Marrone spiega che in realtà il Liber è solo presso la Biblioteca Comunale.[/note], importo pari ovvero al 3,3% di tutte le collette post-guerra acquisite nel 1286 in tutta la Sicilia, Malta compresa, pari a 12.406 onze 43.

Ricordiamo che Enrico Rosso, era stato dato come presente alla Corte di Montalbano, da Ramon Muntaner (y misser Orrigo Rosso) nella sua visita del 1309. E’ dunque probabile che egli fosse presente anche durante la redazione dell’atto che lo incaricava.

Non è certo da ascrivere a mera casualità la circostanza che l’atto della Cancelleria con cui si prescriveva di imporre una colletta ai cittadini della Camera Reginale del Val di Noto partisse proprio da Montalbano e in presenza di Arnau de Vilanova, ovvero a pochi chilometri dal sito di statue megalitiche riproducenti simboli spesso presenti nella sua opera. La presenza di Arnau quel giorno è certa. Da lì a qualche giorno sarebbe partito per Genova nel cui mare trovò la morte il successivo 6 Settembre.

Che quelle ingenti risorse siano servite ad altro che non l’Argimusco, è da escludere. Non si ha motivo di dubitarne se consideriamo il clima di urgenza causato dall’attesa apocalittica, la contemporanea presenza a corte di uno dei personaggi religiosi e culturali tra i più famosi e controversi del Medioevo autore delle profezie, la riproduzione sull’attiguo sito demaniale reale dei simboli culturali e degli strumenti per le tecniche mediche praticate da Arnau de Vilanova e il fatto che, infine, l’allargamento del castello era stato certamente concluso prima del 1309 data dell’arrivo al Palacium di Ramon Muntaner. Altra grande opera coeva non risulta nei dintorni: le due piccole chiesette di Santa Caterina e Spirito Santo erano state fatte nel 1310 e comunque con la somma del tributo se ne sarebbero potute costruire varie decine di quelle chiesette.

Nonostante le armi e il probabile timore generato dal castellano e responsabile dell’amministrazione della giustizia De Vergnea, la riscossione fu, però, lunga e difficile per la opposizione della popolazione a contribuire. Si può anzi dire che forse siamo in presenza di uno dei primi scioperi fiscali o diserzione fiscale 44 che dir si voglia.

Tanto fece sì che il 24 gennaio 1313 da Catania Federico III imponesse, con altra lettera, ai giurati di Siracusa di costringere una tal nobile Cesarea, moglie del nobile Giovanni di Montenegro, Guglielmo Palomar, e altri nobili e cittadini a corrispondere le rate loro spettanti per le 400 onze da donare al Re, e ciò nonostante il loro perdurante rifiuto45.

.

Nel parlamento di Castrogiovanni tenutosi nel giugno 1313, Siracusa espresse, infine, la sua adesione alla colletta votata per la ripresa della guerra contro gli Angioini: venne per questo, forse, deciso di convertire l’exeniumin tassa.

Evidentemente ancora preoccupato, poco dopo, il 18 luglio 1313 da Messina Federico III scrisse al baiulo, giudici, giurati e agli uomini di Siracusa ricordando che, nel generale colloquio tenuto a Castrogiovanni nel giugno 1313, XI ind., Siracusa era stata tassata per 400 onze per la sovvenzione regia “habita compensationem ad quantitatem proinde alias terras et loca Sicilie contingentem46, ovvero al fine della compensazione di altre terre e luoghi della Sicilia. La finalità veniva ora in ultimo indicata.

Viste le difficoltà avute nel riscuotere venne ora incaricato della esazione delle onze il siracusano Guglielmo Raimondo I Moncada 47

al posto del maestro razionale Enrico Rosso. Il re Federico era more temporeaddivenuto a più miti consigli riducendo la somma da riscuotere a 300 onze.

La città, nel dare la sua disponibilità a contribuire alla colletta, poteva sottoporre quest’ultima a condizioni: ed è proprio questo che fece, lo abbiamo visto, quando chiese che si specificasse il motivo del tributo. Ed è quanto avvenne, poi ancora, nel 1316-17 allorché Siracusa si oppose a corrispondere le 300 onze per cui era stata di nuovo tassata obiettando che il consenso della città era stato dato per proseguire le operazioni militari e non per trattare la tregua con gli Angioini: Federico III reiterò la richiesta di corresponsione delle 300 onze, ma nella lettera del 22 agosto 1317, questa volta, si fece scrupolo di elencare in dettaglio i molti impegni finanziari contratti per la difesa del Regno e per l’armamento della flotta che rimanevano da onorare 48.

La tassa, imposta a Castrogiovanni nel 1313 fu, comunque, presto revocata perché la cittadinanza fece rilevare che gli abitanti del Siracusano erano esenti dai donativi e che intendevano, pertanto, contribuire spontaneamente.

Tanto in virtù del regime fiscale esente di cui godeva Siracusa: la prima esenzione era stata, infatti, pronunciata da Federico III il 5 ottobre 1298 49. L’esenzione venne poi successivamente ribadita con altri atti di Federico del 26 ottobre 1306, del 26 dicembre 1306 e del 24 maggio 1307 50.

Un’altra interessante annotazione: l’Agnello e il Marrone 51riportano quale data dell’atto di Federico III il 26 agosto 1311 citando il primo volume conservato nella Biblioteca Comunale di Siracusa del Liber privilegiorum et diplomatum nobilis et fidelissimae Syracusarum urbis 52.

. Nel suo Repertorio lo stesso Marrone riporta, però, quale data il 26 agosto 1297 citando, però, quale testo lo stesso Liber Privilegiorumdi Siracusa.

Riteniamo che la data corretta non sia quella della X indizione nel 1297, ma in realtà quella del 1311 (IX indizione) o al massimo del 1312 (X indizione).

Da cosa traiamo questa convinzione?

In primo luogo, la definizione di “exenium” ovvero di donazione, non la tassa poi decisa a Castrogiovanni, avrebbe avuto senso solo se riferita ad una città che era già stata prima oggetto di un privilegio di esenzione.

In secondo luogo, Enrico Rosso divenne maestro razionale dal 1311/1312: non lo era certamente nel 1297 per come detto nell’atto falso

53.

E ancora, nel 1297 quello che residuava da recenti eventi bellici del Castello di Montalbano non era ancora stato ristrutturato e adibito a palacium reale54. Dunque è altamente improbabile che la Cancelleria regia abbia potuto rilasciare un atto da un luogo non sede reale.

Perchè allora la scelta di Siracusa come soggetto del tributo? Forse, poiché città sede della Camera Reginale avrebbe potuto accettare senza problemi l’imposizione. Almeno questo è quello che, probabilmente, pensarono Federico, Eleonora e il loro precettore Arnau de Vilanova (da lì a poco quest’ultimo sarebbe partito per la missione ove trovò la morte 55 davanti al porto di Genova) in quel caldo giorno dell’agosto 1311.

Siracusa, con Isabella di Castiglia dal 1292 al 1295, era già stata sede di Camera Reginale

56. In automatico, dunque, ripristinata nel 1305 la Camera Reginale, Siracusa sarebbe dovuta ritornare ad essere sede e patrimonio della Camera Reginale, per come dà ad intendere l’Agnello57.

Dunque, l’area Siracusana, sede della Camera e oggetto di ripetute attenzioni benevole in materia di esenzioni doganali e di collette di guerra, secondo le aspettative del Re non si sarebbe potuta mai sognare di creare problemi verso un’imposizione ancorchè dai contorni poco definiti. La donazione avrebbe dovuto rimpinguare le esauste casse reali per scopi volutamente non resi pubblici, dicevamo precedentemente, come fino ad oggi fatto anche per le spese riservate della Presidenza della Regione Siciliana. Si è detto che si voleva evitare che l’opera fosse resa nota alle famiglie nobiliari critiche verso la casata reale e, sopratutto, che se ne accorgesse la Chiesa di Roma che teneva in regime di scomunica il marito di Eleonora e che guardava con sospetto le opere di Arnau dopo avere tentato di metterlo un paio di volte sul rogo.

Ci fu però una sorpresa: i cittadini siracusani si rifiutarono di pagare la colletta. Dopo un anno e mezzo, il fallimento della riscossione portò il Re a scrivere ben due volte sullo stesso tema a distanza di 7 mesi.

Nel parlamento di Castrogiovanni del giugno 1313 obtorto colloFederico dovette trovare una motivazione per l’exenium. Siracusa espresse solo allora la sua adesione alla colletta che venne votata favorevolmente al fine della ripresa della guerra contro gli Angioini: da qui, come detto, la trasformazione in tassa.

Ciò non bastò ancora perchè un mese dopo Federico fu costretto ad emettere un altro atto in cui, sollecitando detto pagamento, specificava che l’importo era dovuto “quale risarcimento ad altri paesi e regioni di Sicilia”, con ciò giustificando l’effettivo trasferimento delle risorse nel Messinese, ovvero a Montalbano, da cui, ricordiamo, venne emesso l’atto originale di imposizione dell’exenium.

Come tutti i mariti, Federico immaginiamo dovette subire un anno e mezzo di martellanti insistenze da parte di Eleonora che, devota discepola di Arnau nonché sorella dell’appassionato alchimista Roberto Re di Napoli, premeva, affinchè dopo la morte del Maestro, venisse completata l’opera. Se poi ricordiamo che come tanti regnanti della Casata Aragonese 58, la sua passione per le stelle era tale che gli abitanti di Malpasso reintitolarono, in suo onore, il borgo in cui viveva in “Stella Aragona59, possiamo avere chiaro lo stress del Re determinante un colloquio in parlamento e ben tre atti di cancelleria non legati alle più importanti vicende belliche o del Regno, ma all’esigenza del completamento dell’opera dello “speculum astrorum” prima dell’ annunciata apocalisse.

Possiamo, dunque, ora capire, per quale motivo i lavori dell’Argimusco siano rimasti incompleti.

Il cantiere dotato di argani e mezzi costosi, forse, provenienti da lontano, si era bloccato alla morte del suo progettista e ideatore.

Il re impaurito di avere, forse, innescato le attenzioni delle famiglie nobiliari al Parlamento di Castrogiovanni o peggio dell’Inquisizione (che aveva già tentato di mettere sul rogo Arnaldo da Villanova) non completò i lavori e con ogni probabilità fece sparire ogni documento o carteggio sull’opera, per non lasciare tracce. La dichiarazione fatta a luglio 1313 sulla reale destinazione ad altra zona di Sicilia e la provenienza dell’atto da Montalbano avrebbero potuto fare scattare indebite curiosità. Forse, in tutta fretta venne distrutta ogni prova della committenza reale dei lavori. Il sito megalitico, talismano medico della famiglia reale, rimase incompiuto e venne poi presto dimenticato.

Nel frattempo, il ricordo del significato e del piano stellare dell’opera era già sceso nella tomba con Arnaldo.

Dall’agosto 1313 all’agosto 1314 l’alchimista astrologo catalano Raimondo Lullo dimorò in Sicilia, a Messina 60,ove è noto scrisse una trentina di testi. Perchè Lullo venne, dunque, in Sicilia?

Certamente, uno come lui, un’autorità di primissimo piano nel panorama culturale europeo, non vi capitò a caso. Fu chiamato dal Re Federico, al fine, ipotizziamo, di completare il cantiere rimasto bloccato. Non è un caso, dunque, che l’ultima e pressante lettera di Federico sia del luglio 1314, ovvero di un mese prima l’arrivo di Lullo.

Federico aveva, forse, urgenza di procurarsi anche le risorse per pagare l’unica persona che, verosimilmente, avrebbe potuto interpretare le intenzioni progettuali di Arnau, giacchè scomparse insieme a lui.

Probabilmente, il tentativo fallì o forse, Raimondo potè completare qualche cosa del piano di Arnau. Certo, è, però, che le grandi pietre disordinatamente sparse sul pianoro in alto non stanno a testimoniare la compiuta e funzionale realizzazione di un grande progetto reale. Il successivo oblio delle conoscenze medico-astrali, il silenzio e l’incuria di 700 anni di abbandono poi fecero il resto.

Dunque, da Montalbano e, verosimilmente per esigenze ivi maturate, il 26 agosto del 1311 61, in presenza del medico alchimista/astrologo Arnau de Vilanova, venne emesso un atto per un’imposizione fiscale gravante sulla Camera della Regina Eleonora d’Angiò. Per evidenziare la cogenza dell’atto, ad emettere la disposizione non fu la Regina, quale titolare della Camera, ma il Re in persona che incaricava della riscossione non un qualunque gabelloto, come in tanti altri atti regi, bensì il tesoriere reale, Enrico Rosso. Sorprendentemente, le collettività della Camera Reginale opposero, però, una sorda resistenza fiscale in nome di quella che oggi chiameremo “trasparenza”. Il Re alla fine dovette ammettere, anche se parzialmente, il reale scopo dell’exeniumnon rivolto alle guerre, ma ad una compensazione destinata ad altri luoghi della Sicilia, ovvero a Montalbano da cui l’atto fiscale originario proveniva.

Ci sembra, dunque, opportuno concludere che l’Argimusco, oltre ad essere un unicum mondiale quale vero e proprio “specchio delle stelle”, possa essere definito anche come una delle prime grandi opere a non essere stata completata per scarsità di risorse finanziarie. Non solo: per il finanziamento di esso si è scatenata una delle prime resistenze fiscali che la storia ricordi.

Gli abitanti del Siracusano stufi di imposizioni fiscali chiesero conto e ragione dell’utilizzo delle risorse loro fiscalmente sottratte. Chiesero, si direbbe oggi, trasparenza fiscale.

L’Argimusco è, forse, anche un silenzioso monito valido anche per la politica di oggi?!?

PAUL DEVINS E ALESSANDRO  MUSCO

 

 

 

Note

  1. Sulla storia della corte aragonese di Federico III di Trinacria ed Eleonora d’Angio vedi il fondamentale A. De Stefano, Federigo III d’Aragona, re di Sicilia, Palermo 1937, pp. 108, 215; V. Casagrandi, La francescana Eleonora d’Angiò, regina di Sicilia, Catania 1926; F. De Stefano, Contributo alla storia della Sicilia nel sec. XIV, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, XXVI (1930), pp. 179, 215; F. Napoli, Storia della città di Mazara, Mazara 1932, p. 68; G. Leanti, L’Ordine francescano in Sicilia nei secoli XIII e XIV, in Miscell. francescana, XXXVII (1937), pp. 567 s.; Id., Nel sesto centenario della morte di Federico II d’Aragona, re di Sicilia (25 giugno 1337), Noto 1937, pp. II ss., 131 ss.; Acta Aragonensia, a cura di H. Finke, III, Berlin-Leipzig 1922, p. 737, n. 453; Michele da Piazza, Cronaca, a cura di A. Giuffrida, Palermo 1980, pp. 66, 143, 164; T. Fazello, De rebus Siculis decades duae, I, Panormi 1608, pp. 517, 527; F. Testa, De vita et rebus gestis Federici II Siciliae regis, Panormi 1775, pp. 126, 136; R. Gregorio, Considerazioni sopra la storia di Sicilia dai tempi normanni fino ai presenti, II, a cura di A. Saitta, Palermo 1972, pp. 177, 185, 228.
  2. S. Marino Mazzara, OFM, Costanza di Svevia ed Eleonora di Francia, in Studi Francescani, 1926, p. 105 citato da Francesco Costa Eleonora d’Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco – Franciscana 13/1, p. 188
  3. G. Leanti, L’Ordine francescano in Sicilia,opera citata, pp. 142,143 s.;
  4. Francesco Costa Eleonora d’Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco – Franciscana 13/1, p. 193 e p. 199 e ss.
  5. Nicolai Specialis Historia Sicula, in R. Gregorio, Bibliotheca scriptorum qui res in Sicilia gestas sub Aragonum imperio retulere, I, Panormi 1791, pp. 451, 456 ss., 488, 501, 507; Anonymi Chronicon Siculum, ibid., II, ibid. 1792, pp. 180 s., 184 s., 262;
  6. Cfr. E. Benedictis, Della Camera delle regine siciliane, Siracusa 1890, pp. 3 s., 7 s., 11 s.;
  7. “Ad inclitum tercium Fredericum Trinacriae regem illustrem” del 1305, l’Interpretatio facta per Magistrum Arnaldum de Villanova de visionibus in somnis dominorum Iacobi secundi regis Aragonum et Frederici tertii regis Siciliae eius fratris” del 1308 e il Rahonement d’Anjo del 1309.
  8. “item tabernalculum ligneum quod dedit regina Siciliae”. R. Chabas Inventario de los libros, ropas y demas efectos de Arnaldo de Villanueva, in Revista de Archivos, Bibliotecas y Museos”, 9, 1903, p.196 nota citata in Francesco Costa “Eleonora d’Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia” in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco – Franciscana 13/1
  9. In altra parte di questo studio abbiamo trattato dell’interesse per l’alchimia allora in voga presso i francescani come Giovanni da Rupescissa, Raimondo Lullo e lo stesso Arnau. Eleonora, forte simpatizzante, francescana certo non poteva essere attratta dall’ “arte regia”
  10. A.Kiesewetter Eleonora d’Angiò Regina di Sicilia in Dizionario Biografico degli Italiani XLII, 1993, p.339-42
  11. Cagliola, Almae Siciliensis provinciae ordinis minorum  conventualium S. Francisci manifesationes novissimae, Venetiis 1644 ristampato dall’Officina degli studi medievali di Palermo nel 1984.
  12. Francesco Costa “Eleonora d’Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia” in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco – Franciscana 13/1, p. 195
  13. Si veda Venerando Bruno “Quell’antico convento di Malpasso”, Brancato 1996 e Venerando Bruno, “In difesa della storia patria”, Belpasso 1994. Le prime ricerche nonché le prime campagne pubbliche per la tutela del sito della Cisterna della Regina sono state fatte dal Bruno.
  14. Cfr. Venerando Bruno “Quell’antico convento di Malpasso”, Brancato 1996, pag. 117, nota n.1 .
  15. Cfr. Francesco Costa Eleonora d’Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco – Franciscana 13/1, p. 217/18 e Mons. Savasta Memorie storiche di Paternò, p. 164/66.
  16. Abbiamo visto sopra che è certo che l’usanza delle mani giunte con dita intrecciate è giunta in occidente solo con il Cristianesimo. Nella civiltà greco-romana intrecciare le dita era considerato anzi malaugurante. Altre prove riportano l’origine del sito al medioevo, tra esse: il pellicano dell’ingresso(inteso quale vagina da altri studiosi) simbolo medievale del Cristo, la civetta (inteso quale fallo maschile da studiosi locali) simbolo alchemico e della Dea Minerva, il tetraedro simbolo templare su cui Arnau aveva scritto un testo (Allocutio super significatione nominis “Thetragrammaton”), l’Aquila contenente tra le penne un viso (simbolo di Giove che si trasforma nel volatile secondo la mitologia greca), il grande alambicco dell’ingresso simbolo alchemico, il salnitro altro simbolo alchemico, il sestante di pietra, classico strumento astronomico inventato dagli Arabi, la vicina vasca per la coltivazione delle sanguisughe applicate secondo le osservazioni stellari e lunari fatte dal sestante per come prescriveva la medicina araba, etc..
  17. Per la sua attività politica discreta e pur tuttavia decisa vedi Francesco Costa Eleonora d’Angiò (1289-1343). Regina francescana di Sicilia in “I Francescani e la politica: atti del convegno internazionale di studio 2002” a cura di A. Musco – Franciscana 13/1
  18. La frazione di Stella Aragona fu rifondata da Don Melchiorre Rapisarda nel 1680 nello stesso luogo dove sorge l’attuale quartiere di Borrello.
  19. Chiunque facendo una ricerca su internet potrà verificare che non esistono altri toponimi in Italia o Spagna comunque assimibilabili al nome “Stella Aragona”. L’unico toponimo è appunto il borgo di Stella Aragona nell’antica Malpasso.
  20. La bandiera del regno di Napoli fu quella adottata da Carlo I d’Angiò quando incoronato Re di Sicilia. È l’evoluzione del suo blasone in cui erano rappresentati i gligli di Francia una concessione araldica che Filippo il Bello aveva dato a nobili di particolare merito.Sulla cima della bandiera, in linea con quanto rappresentato dallo stemma angioino, vi era il lambello rosso a tre gocce che contraddistingueva il ramo cadetto della casa d’Angiò.
  21. Per un quadro generale dell’attenzione prestata dagli appartenenti alla corona aragonese alla osservazione delle stelle si veda: Michael A. Ryan “A Kingdom of Stargazers: Astrology and Authority in the Late Medieval Crown of Aragon” Cornell University Press, 2011.
  22. In viaggio da Palermo ad Enna, Federico si ammalò gravemente. Morì il 25 giugno del 1337 nel tragitto tra Palermo e Catania, poiché sperava di ricevere cure migliori nell’ospedale della Commenda di S. Giovanni Gerosolimitano nei pressi di Paternò. Come si usava all’epoca, nell’ospedale vennero sepolte le viscere, mentre la salma, trasportata a Catania, fu esposta al Castello Ursino. Federico aveva dichiarato nel testamento di voler esser sepolto a san Francesco nella città di Barcellona, accanto al fratello Alfonso d’Aragona e alla madre Costanza, ma modificò le sue volontà e dispose per una sepoltura nella cattedrale nel capoluogo. La salma venne quindi tumulata provvisoriamente nella Cattedrale di Catania, in attesa di traslazione a Palermo. A causa del perdurare della guerra del Vespro la salma rimase definitivamente a Catania.
  23. Ben documentati da Marrone A. “Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia dal 1282 al 1377”
  24. Si veda Antonio Mursia “Considerazioni sull’istituzione e sulle funzioni dei monasteri benedettini del versante meridionale dell’Etna”, Mediaeval sophia». studi e ricerche sui saperi medievali E-Review semestrale dell’Officina di Studi Medievali 13 (gennaio-giugno 2013), pp. 120-125; G. Arlotta, Vie Francigene, hospitalia e toponimi carolingi nella Sicilia medievale, in M. Oldoni (ed.), Tra Roma e Gerusalemme nel Medioevo. Paesaggi umani ed ambientali del pellegrinaggio meridionale, Atti del Congresso Internazionale di Studi III (Salerno-Cava de’ Tirreni-Ravello, 26-29 ottobre 2000) , Salerno 2005, pp. 861-865.
  25. L. T. White, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna , Siracusa 1984,, pp. 182-186.
  26. L. Arcifa , Un’area di strada nel medioevo: la media valle del Simeto , in G. Lamagna (ed.), Tra Etna e Simeto. La ricerca archeologica ad Adrano e nel suo territorio , Biblioteca della Provincia Regionale di Catania, Giarre 2009, cit., p. 192. Per i percorsi stradali medievali e sulla Via Francigena che passava dall’Argimusco si veda, in particolare, il pregevole lavoro di G. Tropea pubblicato sul sito internet http://www.medioevosicilia.eu a titolo “Argimusco e via Francigena in Sicilia: Contrada Argimusco, valico dei Nebrodi”, 2013
  27. C. A. Garufi , Gli Aleramici e i Normanni in Sicilia e nelle Puglie. Documenti e ricerche , in AA . VV ., Centenari
  28. Cfr.Antonio Mursia “Considerazioni…” ibidem pag.123
  29. Vedi http://www.prolocobelpasso.it/ e voce Belpasso su wikipedia
  30. Sulla tesi del malum da intendere non come aggettivo ma come sostantivo di mele si veda in Venerando Bruno “Quell’antico convento di Malpasso”, Brancato 1996
  31. Notizia tratta dalla scheda sulla chiesa di Santa Maria della Guardia di Belpasso Borrello e pubblicata su : http://www.chieseitaliane.chiesacattolica.it. ”Sicuramente la cappella esisteva ancora nel 1618, in quanto vi si stabilì la confraternita del SS. Sacramento e si hanno notizie certe dell’antico edificio religioso nel 1656, quando i rettori chiesero al vescovo il permesso di ampliarlo. La chiesa è citata anche in un documento del 1590, mentre dovrebbe risalire al 14.7.1635 l’erezione sacramentale. Andata distrutta insieme al borgo nell’eruzione del 1669, in occasione della fondazione di Stella Aragona fu ricostruita da Don Melchiorre Rapisarda nel 1680 nello stesso luogo dove sorge quella attuale..”
  32. Alla sua morte Eleonora regalò ai Francescani il piccolo complesso monastico di San Francesco alla collina in Paternò, dal 1196 in proprietà dei monaci benedettini. I francescani successivamente ampliarono il monastero con il permesso papale.
  33. Successivamente Malpasso venne distrutto dall’eruzione del 1669. La popolazione si disperse per insediarsi a Catania, S.Maria di Licodia, Paternò, Agrigento. Come detto alcuni sopravvissuti fondarono il quartiere di Stella Aragona (l’attuale Borrello) nella zona de “la Guardia” con centotrenta case ed una chiesa; altri malpassoti scampati alla catastrofe si insediarono nei pressi di Valcorrente delimitando il regolare tracciato a scacchiera della nuova Fenicia Moncada. Nel 1687 un atto pubblico sanciva i rapporti politici tra Stella Aragona e Fenicia Moncada.
  34. Margherita era stata una delle più grandi mistiche medioevali europee. La sua tomba divenne meta di pellegrinaggi. Si narra che durante uno dei miracoli attribuitigli fossero presenti più di tremila persone. Nel 1425, in Francia, Giovanna d’Arco si sentì chiamata, da “voci” misteriose, a rafforzare la propria fede e a liberare la Francia. Al processo che finirà col supplizio, Giovanna darà alle “voci” un nome: «Michele arcangelo, Caterina da Siena e Margherita d’Ungheria» (dal sito internet http://www.santiebeati.it, Antonio Borrelli).
  35. “Margherita era figlia di re Béla IV d’Ungheria. E prima che venga al mondo, sul suo Paese piomba l’invasione mongola comandata da Batu, nipote di Gengis Khan: dopo aver devastato e saccheggiato i territori russi, ucraini e polacchi, dilaga in Ungheria, e in una battaglia campale disperde le truppe comandate da Béla IV, con ungari, croati, tedeschi e templari francesi. La famiglia reale d’Ungheria si rifugia in Dalmazia. La regina sta per partorire, e già si decide che, se nascerà una bambina, l’accoglierà un convento. È un voto, per la salvezza dell’Ungheria. Così, sui tre-quattro anni, eccola già accolta nel convento domenicano di Santa Caterina, a Veszprém; e intanto nasce per lei un’altra casa di suore presso Buda, su un’isoletta del Danubio che si chiamerà poi Isola Margherita. Niente vocazione, dunque: hanno fatto tutto i genitori. I quali poi, nel 1260, vogliono farla maritare al re Ottocaro II di Boemia, col quale l’Ungheria ha fatto pace dopo una guerra sfortunata. Lei, al momento, ha diciotto anni, e dice di no. Ottocaro sposerà una sua sorella. Poi Margherita fa di più: se finora era nel convento una sorta di illustre ospite, ora si fa domenicana. La vocazione è arrivata adesso, come lei dice al suo confessore, il domenicano frate Marcello. Dopo di lei arrivano in convento altre figlie dell’aristocrazia ungherese. Forse anche loro“chiamate”. Oppure forse spinte dall’ambizione di andare a star bene accanto alla figlia del re, mettendo insieme una piccola corte. Non così la pensa Margherita. Certo, tiene presenti anche le vicende di fuori. Anzi, nel 1265 si impegna per mettere fine a una guerra di famiglia. Suo fratello Stefano V (tre anni più di lei), (nonno di Eleonora d’Angiò), si è ribellato al padre Béla IV, che pure lo aveva associato al trono; e gli fa addiritturala guerra. Margherita a questo punto interviene e riconcilia padre e fratello. Ma come religiosa non si fa sconti: lì non è più la figlia del re. I suoi connotati di religiosa si trovano nelle deposizioni di un centinaio di testimoni, che nel 1276 (sei anni dopo la morte) depongono davanti a due delegati pontifici giunti da Roma per indagare sulla sua fama di santità. E qui troviamo una donna che vive la Regola, e vi aggiunge pure del suo, dedicandosi a una continua opera di imitazione di Gesù nella sofferenza fisica e nell’umiliazione. Si fa leggere molto spesso il racconto della Passione, e lo ascolta in piedi. Si priva di cibo e di riposo per il desiderio di vicinanza al Signore sofferente. Cerca persino di cancellare dal viso ogni traccia di bellezza….” (tratto da sito internet http://www.santiebeati.it, autori Antonio Borrelli e Domenico Agasso). Si veda ancora Atlante Santi e beati Il Sapere, 1999, pag. 186 e Dizionario cronologico delle apparizioni della Madonna, Hierzenberger Nedomansky, Piemme, 1993 pag. 75.
  36. Eleonora era figlia di Maria d’Ungheria(1257–25 marzo 1323) appartenente alla dinastia ungherese degli Arpadi, fu regna consorte di Napoli. Fu la figlia – forse primogenita – di Stefano V d’Ungheria e di sua moglie, la regina Elisabetta. Suo fratello Ladislao regnò sull’Ungheria dal 1272 al 1290. Dopo le nozze con Carlo II lo zoppo, acquisì il titolo di regina consorte di Napoli, dal 1285 al 1309 e ricevette il castello di Melfi come residenza ufficiale nel 1284.
  37. Eleonora è ritratta vestita con la corona reale e con le mani giunte allungate in preghiera. Sopra di sé vi è l’arcangelo Michele, che con una mano sembra proteggerla, e Sant’Agata, santa patrona di Catania. Quest’ultima tiene nel palmo della mano una torre (simbolo di un castello). La stessa cosa dall’altra parte dell’abside ove si vedono la sua nuora, sposa di suo figlio Pietro II, Elisabetta di Carinzia, e sopra di lei l’arcangelo Gabriele e Santa Lucia, santa patrona di Siracusa. Anche Lucia tiene in mano un castello. Il mosaico centrale raffigura, invece, sulla sinistra Federico III d’Aragona in ginocchio e l’arcivescovo Guidotto da Abbiate, filo aragonese e ghibellino, schieratosi con Federico nel contrasto con gli angioni e il papa. Sul lato destro è ritratto il figlio di Federico, Pietro II d’Aragona. Non è, secondo noi, un caso che sant’Agata sia ritratta sopra Eleonora poiché ella dal 1337 in poi si trasferì nel catanese. Santa Lucia viene raffigurata sopra Elisabetta, forse, per via della Camera Reginale, nel frattempo consolidatasi nella dotazione patromoniale, sita presso Castel Maniace a Siracusa. Il mosaico è, secondo noi, stato fatto dopo il 1337, data della morte di Federico, e prima della morte di Pietro II, nel 1342. Tanto poichè non è stato rappresentato nei mosaici il figlio di questi Ludovico, subentrato a sei anni sul trono (sotto la reggenza della madre Elisabetta) e rimastovi fino alla sua morte nel 1355. E’, dunque, a nostro avviso, verosimile che i due mosaici, quello di sinistra e centrale, siano stati fatti tra il 1337 e il 1342, data della morte di Pietro. I mosaici all’epoca intendevano rappresentare le due coppie reali, Federico e Eleonora e Pietro e Elisabetta, con l’unica eccezione dell’arcivescovo Guidotto che coraggiosamente si schierò con Federico contro il papa.
  38. Per le nostre tesi sul piano complessivo del talismano di medicina astrologica di Argimusco vedi Paul Devins “Il Mistero dell’Argimusco” 2010 ISBN 978-1-4466-4343-3, Paul Devins “La scoperta dell’Argimusco” 2011 ISBN 978-1-4466-0438-0
  39. Per il prosieguo della ricerca sulla koinè islamico-iberica all’origine della cultura medico, alchemica e astrologica di Arnaldo da Villanova vedi  Paul Devins “Considerazioni propedeutiche alla vendicazione di Arnau de Vilanova” 2012 ISBN 9781471071973 e Paul Devins e Alessandro Musco “Argimusco Decoded” 2013 ISBN 978-1-291-09104-5, si veda inoltre Centonove del 6 settembre 2013 pag.26/27, Centonove del 29 marzo 2013, pag. 30/31, del 23 marzo 2012 pag. 36/37, del 10 giugno 2011 pag. 35
  40. Giuseppe Pantano “Il fondaco dimenticato” su Centonove del 27 settembre 2013
  41. Giuseppe Tropea, “Contrada Argimusco” sul sito internet medioevosicilia.eu 
  42. Laura Sciascia riassume così la figura di Enrico Rosso: “uomo d’affari spregiudicato e di grande successo, capo di una famiglia che è soprattutto una possente fabbrica di denaro e di potere” in Lettere dalla Sicilia: i notabili siciliani a Giacomo II, Schede Medievali 49 Officina degli Studi Medievali, pag. 402
  43. cfr. Marrone in Sovvenzioni regie, riveli, demografia in sicilia dal 1277 al 1398 pag. 26 in Mediterranea – ricerche storiche – Anno IX 2012
  44. Il primo caso conosciuto è quello del 1 secolo DC quando gli zeloti si rifiutarono di pagare le tasse ai Romani.
  45. Marrone in Repertorio, op.cit., pag. 100 Liber Privilegiorum di Siracusa libri III, manoscritto presso la Biblioteca Alagoniana di Siracusa, I, 70v. In realtà, come visto nella superiore nota, trattasi di un manoscritto presso la Biblioteca Comunale di Siracusa.
  46. Ibidem pag. 100, Liber Privilegiorum di Siracusa libri III, manoscritto presso la Biblioteca Alagoniana di Siracusa, I 124v;
  47. Verso gli inizi del Trecento Guglielmo Raimondo I Moncada si unì in matrimonio a Luchina di Malta, figlia di Guglielmo, a seguito del quale fu investito dal re aragonese come marchese di Malta e Gozo. Nel 1320 queste terre gli furono tolte in cambio della contea di Agosta e delle rendite sulle tonnare di Altavilla e Melilli. Alla sua morte, il figlio Guglielmo Raimondo Moncada gli succedette alla contea di Agosta
  48. Marrone in Repertorio, op.cit., pag. 107
  49. Federico III emana un privilegio con cui Siracusa viene esentata “ab impositionibus et solutionibus cuiuscumque pecuniae de cetero imponendae et recolligendae in Sicilia et alibi tam pro armata nostri felicis extolii, quam pro aliis quibuscunque causis et negotiis, quodque ipsi, sicut et heredes eorum perpetuo”. Corrado Lancia cancelliere, cfr. Marrone in Repertorio, op.cit., pag. 84, Liber privilegiorum, I, c. 21: De exemptione generali a quibuscunque collectis.
  50. Marrone in Repertorio, op.cit., pag. 94
  51. Marrone in La corte itinerante di Sicilia negli anni 1282-1377 Schede Medievali 49, Officina Studi Medievali, pag. 160
  52. G. Agnello, Urbs fidelissima. Il governo di Siracusa durante la Camera reginale (1282-1536), pag. 9, Biblioteca Comunale, Siracusa, Liber privilegiorum et diplomatum nobilis et fidelissimae Syracusarum urbis volume 1, ff. 86 e 70v-71r; 1, ff. 124v-125; 3, ff. 16v-17r; ff. 91-92r e ff. 81-82r.
  53. Acta Curiae Felicis Urbis Panormi 1, pag. 48 citato in Nobiltà di stato: famiglie e identità aristocratiche del tardo Medioevo : la Sicilia E.Igor Mineo Donzelli Editore, 2001 – pag. 163. Il Backman testualmente dice che il Rosso era considerato dalla Corte “come traditore fino al 1297” (pag. 130 di Declino e caduta..): Laura Sciascia, citata in nota da Backman, citando l’Acta Curie 1, doc. 58 dice che assunse il ruolo nel 1311/12. Backam stesso ammette di “non avere trovato documenti che confermino la sua nomina già nel 1300”. Tanto che cita una lettera del 1304 di “messa a disponibilità” da parte di Enrico a Giacomo. E’ certo dice Backman che “Enrico fu riammesso dopo Capo d’Orlando e prima di Caltabellotta”. Backman a pagina 112 dice ancora che Enrico cominciò solo “nel 1312 la sua carriera di magister rationalis”.
  54. I lavori del Castello di Montalbano iniziarono solo nel 1302.
  55. Come detto la morte di Arnau dalla maggior parte degli studiosi viene fissata nel settembre 2011. Perarnau dice che la sua morte avvenne per l’esattezza il 6 settembre 1311, ovvero 11 giorni dopo l’atto per il finanziamento dell’opera: “mestre Arnau de Vilanova, del qual, d’altra banda, ens consta la seva estada a l’illa de Sicilia immediatament abans de la seva mort, que hom data del 6 de setembre del 1311”, J. Perarnau “Problemes i criteris d’autenticitat d’obres espirituals atribuïdes a Arnau de Vilanova”, pag. 84
  56. Cfr. Giuseppe Agnello Urbs fidelissima. Il governo di Siracusa durante la Camera reginale (1282-1536) pag. 8 e 9
  57. “Nel 1295, alla morte della regina, Siracusa tornò automaticamente al demanio regio e vi rimase per dieci anni, senza che vi fosse alcun cambiamento degno di nota…” vedi G.Agnello ibidem pag.8. Dal Costa però sappiamo che formalmente Siracusa entrò come patrimonio dotario solo nel 1314” vedi F. Costa, op.cit pag. 183 e Kiesewetter, op.cit. pg. 397A e R. Starabba Del dotario delle regine di Sicilia, detto altimenti Camera Reginale, in Archivio storico Siciliano, 2 (1874), pag. 400 nota 1 
  58. cfr. Michael E. Ryan 2011 op.cit. “A Kingdom of Stargazers: Astrology…”
  59. Su questo si veda il precedente paragrafo.
  60. F. Costa, op.cit. Pag. 187
  61. Con il consenso di Antonino Marrone pubblichiamo uno stralcio di una sua lettera indirizzata agli autori circa la datazione del documento: “…Va esclusa la data 26.08.1311 poiché questa data rientrerebbe nella IX ind. (1310-11) e non nella X ind. (1311-12): fui indotto a proporre questa data ne “La corte itinerante di Sicilia negli anni 1282-1377”, p. 160, dal fatto che il 3 settembre 1311 (X ind.) il sovrano si trovava a Montalbano ma non tenni conto che l’agosto 1311 ricade nella IX ind. (peraltro, l’articolo è stato pubblicato a 7 anni di distanza dalla sua elaborazione, mentre nel frattempo avevo formulato ipotesi diverse). (…)  Nel Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia ho datato al 26.08.1297 la lettera regia scritta a Montalbano, in quanto sappiamo che Federico III almeno dal 22 giugno al 13 settembre 1297 inviò delle lettere mentre stava all’assedio di Castiglione e non è escluso che durante quei mesi possa aver effettuato delle puntate nei centri vicini, fra cui Montalbano. Alla luce di un più attento esame della documentazione, penso però che la datazione più corretta possa essere il 26.08.1312, X ind., per i seguenti motivi: Enrico Rubeo ricopriva ancora la carica di  maestro razionale (a meno di ribellione, tutte le cariche, compresa quella di maestro razionale, erano a vita); sappiamo che il sovrano si trovava a Palermo il 12 agosto 1312 e a Nicosia il 2 ottobre 1312 (cfr. Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno), e quindi il 26 agosto 1312 si sarebbe potuto trovare a Montalbano; infine, l’ingiunzione fatta quel 26 agosto 1312 (X ind.) ai giurati di imporre le assise ai siracusani per corrispondere lo xenium di 400 onze offerto dagli stessi giurati al re, si collega bene con la lettera del 24.1.1313 (XI ind.) con cui gli stessi giurati siracusani lamentavano che alcuni cittadini si rifiutavano di pagare quanto da loro dovuto per lo xenio di 400 onze…”. Ringraziamo sentitamente del contributo il valente studioso. Ci riserviamo, ancora, di meglio verificare la data dell’atto, 1311 o 1312, anche se propendiamo per la prima data. Per i sopra elencati motivi legati alla contestuale presenza alla corte montalbanese di Arnau de Vilanova, verosimile autore del piano delle statue stellari, crediamo che non sia da escludere un errore dello scrivano della cancelleria. Questi potrebbe avere indicato per svista quale indizione la X piuttosto che la IX, circostanza peraltro non difficile atteso che pochi giorni dopo il 26 agosto 1311 iniziava la X indizione. Già il 3 settembre 1311, infatti, risultava già iniziata la X Indizione. In quella data Federico III scrisse a Giacomo II sul tema della sua intitolazione quale Re di Trinacria (ACA Cartas Giacomo II, n. 10120 e Acta Sicula-Aragonensia II: Documenti sulla luogotenenza di Federico d’Aragona a cura di F. Giunta A. Giuffrida, Palermo, 1972, 123). Lo stesso Marrone individua la presenza di “taluni documenti che mostrano discordanza tra la data cronica e quella topica, o tra l’anno indizionale e l’anno comune, oppure che non riportano l’indicazione dell’anno indizionale o dell’anno comune. Ciò deriva dall’usanza “che si aveva nelle cancellerie pubbliche medievali di datare i documenti indicando, oltre il luogo (data topica), solo il giorno, il mese e l’indizione, omettendo quasi sempre il cosiddetto anno comune”. A ciò bisogna aggiungere anche “banali errori degli scrivani della cancelleria” (pag. 5 Repertorio) cosa che lo porta a fare in Appendice 1 del suo vastissimo Repertorio un “Elenco degli atti regi la cui datazione risulta errata nelle trascrizioni”. A pag. 911/912 del Repertorio sono visibili altri errori degli scrivani riconducibili proprio a quel lasso di tempo tra il 1310 e il 1313.

Leave A Comment